Candida Morvillo per il "Corriere della Sera"
La ricerca è vasta e il dettaglio che non è affatto un dettaglio, ma anzi apre un mondo, è che il 69% di preadolescenti e adolescenti ha un profilo falso sui social. Si è molto discusso dei bimbi che si dimenano su Tik Tok fra balletti e sfide pericolose, nonostante il social sia riservato a chi ha più di 13 anni, ma era solo l'aspetto più visibile di un problema più grande. La ricerca è alla base del saggio Figli delle App e i protagonisti, come quelli della canzone di Alan Sorrenti Figli delle stelle , «non si fermano per nulla al mondo».
Figuriamoci per un limite d'età, per «le bugie che non si dicono» o per il reato di sostituzione di persona. Uscito per Franco Angeli, il libro è di Francesco Pira, sociologo dei processi culturali e comunicativi all'Università di Messina: «Parla dei figli delle App e dei loro genitori: figli della tv» spiega lui, «adultescenti che se ne stavano imbambolati davanti al televisore, come oggi i loro ragazzi, per il 49,7% incollati allo smartphone anche per più di cinque ore al giorno».
Il suo primo libro, 25 anni fa, era Bambini mai soli davanti alla tv : «Citavo Karl Popper quando dice che i bambini sono portati ad adattarsi al loro ambiente e avvisavo che, a guardare troppa tv, ne sarebbero stati condizionati. Mi dissero che avevo le visioni, ma col senno di poi, avevo ragione: abbiamo prodotto generazioni di aspiranti calciatori e veline e ora i giovani sono tutti aspiranti influencer e youtuber».
Sono 1.858 i ragazzi di scuole medie e superiori interpellati fra aprile e maggio 2020, in pieno lockdown. Il 99,6% possiede uno smartphone. Il 98,7% ha un profilo social. Il 61,6% invia e riceve su WhatsApp oltre cento messaggi al giorno. Il 45,5% ha lo smartphone acceso giorno e notte. Avvisa Pira: «Se non entriamo nei meccanismi di comunicazione dei figli, non avremo mai una controproposta per arginare fenomeni come Blue Whale o Jonathan Galindo, sfide social estreme che portano al suicidio».
I giovani sono sempre più connessi ma sempre più soli: «Il 60,4% degli intervistati ha ammesso di avere avuto paura e scoramento». Quanto ai profili falsi, hanno risposto solo 544 ragazzi, spiega Pira, «ed è facile supporre che gli altri 1.314 si siano sottratti per non ammettere che il profilo falso ce l'hanno. Cosa che alzerebbe la media del 69,9%, di per sé già alta». Cosa ci fanno i giovani con un profilo fake? «Per esempio, eludono i controlli dei genitori. Hanno un profilo "pulito" che mamma e papà possono controllare e ne hanno uno falso che, per i loro amici, è quello "vero"». Oppure, peggio: «Cercano un'identità altra per dire ciò che pensano in anonimato.
È come se, nel proliferare della disinformazione, avessero interiorizzato una forma deviata di esercizio della libertà e una visione distorta della privacy: si preoccupano della loro, non di quella altrui. L'inganno è diventato centrale e la distinzione tra vero e falso non è più percepita: gli adolescenti sono un prodotto dell'era della disinformazione, vittime del sistema delle fake news, ritengono normale usare il falso per i propri scopi».
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