Massimiliano Scafi per ''il Giornale''
E a volte ritornano. Basta un giro di vento giusto, un errore di rotta di Salvini e la prospettiva del proporzionale perché anche uno come Carlo Scognamiglio, campione mondiale di vela nel 1974 e presidente del Senato nel 1994, dopo un quarto di secolo adesso possa rientrare in corsa. «Per noi liberali il momento per riaccendere la luce è vicino. Se cambia il sistema, per i partiti laici, rappresentanti della borghesia delle professioni, c' è uno spazio del dieci per cento. Teniamoci pronti».
Ma come, non era sparito, evaporato, deluso dalla politica? Non era tornato all' insegnamento, ai circoli esclusivi, all' Aspen, ai campi da golf, agli yacht, alle belle frequentazioni? Due anni alla guida di Palazzo Madama con i voti del centrodestra, poi nel '98 ministro della Difesa nel governo D' Alema.
Da allora più niente, fuori per vent' anni dai radar della politica, soltanto università e convegni accademici di alto profilo. Invece rieccolo a fine settembre in una sala congressi accanto a Montecitorio per gli Stati generali del Pli, che insieme a Stefano De Luca sta cercando di rilanciare.
Lontani dalla sinistra, lontanissimi pure da Salvini.
carlo scognamiglio gianni agnelli vittorio merloni
«Questa destra ha caratteristiche opposte ai nostri ideali». Resta il centro, oggi categoria astratta e domani chissà. «Il nuovo esecutivo è nato perché siamo alla vigilia di importanti nomine negli enti pubblici, non per altro. Conte è gentile, si presenta bene, però è il perfetto rappresentante di questo mondo». Ma se si torna al proporzionale, «dopo 25 anni nell' ombra noi liberali possiamo riprendere a fare politica con successo».
Freddo, imperturbabile, lo chiamano il ghiacciolo. «Diciamo che non ha un basso concetto di stesso», ha raccontato una volta sua moglie Cecilia. E infatti Carlo Luigi Scognamiglio Pasini, detto Carlino, nato a Varese nel 44 da una famiglia di armatori genovesi, ha due di tutto. Due nomi, due cognomi, due figli, Filippo e Thea, due mogli, Delfina Rattazzi, figlia del conte Ugo e di Susanna Agnelli, e Cecilia Pirelli, figlia di Leopoldo e prima consorte di Marco Tronchetti Provera. Professore, gli chiesero una volta, lei è molto ben imparentato. «Beh, la stessa cosa si può dire anche per le signore», la sua risposta.
Nel suo curriculum c' e un po' di tutto. Il titolo mondiale One-Ton cup nel 1976, la vittoria della Giraglia l' anno dopo. Gli studi a Londra, la cattedra alla Bocconi, la stesura con Gianni De Michelis del libro bianco sulle partecipazioni statali, la presidenza della commissione Carli, il lungo rettorato della Luiss.
Appassionato d' opera: conosce a memoria tutto il libretto del Rigoletto. Golfista: la scorta lo seguiva con una macchinetta elettrica. Accademico di vaglia: grande studioso di Keynes e dell' economia industriale, scopritore del Cesare Beccaria economista, teorico delle privatizzazioni.
Ciuffo, barba garibaldina, modi raffinati, il 16 aprile 1994, al termine di una seduta burrascosa, Scognamiglio diventò a 49 anni il più giovane presidente del Senato. Lo scrutinio finì in parità, 159 per lui, 159 per Giovanni Spadolini, e quindi toccava per anzianità all' ex presidente del Consiglio. Ma c' era un voto contestato: ScognaMIGLIO, aveva scritto un senatore spiritoso. Accertato che nell' aula nessuno aveva Scogna come nome di battesimo e che il leghista Miglio si chiamava Gianfranco, la scheda fu sbloccata e il professore proclamato presidente.
Durante il discorso d' investitura parlò a braccio, un solo braccio.
L' altro teneva la mano in tasca. Sfregio alle istituzioni? Supponenza? In realtà era una mossa calcolata, una strategia tranquillizzante, copiata anni dopo da Matteo Renzi. Voleva dire: non sono distante, sono uno di voi, come il pullover blu di Marchionne. All' epoca della Rivoluzione francese era il simbolo dei sanculotti: i nobili non lavoravano e non avevano bisogno di tasche. I notabili dc, da Rumor a Fanfani, non sapevano mai dove mettere le mani, o si stropicciavano le dita o, come Andreotti, giocavano con la fede.
Poi arrivò Gianni Agnelli, con la cravatta fuori dal golfino, l' orologio sul polso della camicia e, appunto, la mano in tasca. Il suo amico Carlino a Palazzo Madama fece lo stesso. «È un dandy, non un uomo politico», lo bollò Lucio Colletti.
La sua presidenza durò due anni, quanto il primo governo di centrodestra, dal quale aveva già preso le distanze. «Abbiamo eletto un liberale così liberale da aver dimenticato da chi è stato eletto», commentò Maurizio Gasparri. Dopo un passaggio sfortunato a Democrazia europea di D' Antoni, traslocò nell' Udr di Cossiga e diventò ministro della Difesa. Un tradimento?
Ma no. «Prodi era caduto e si fece un governo di coalizione nazionale per la Finanziaria e il Kosovo. Un esecutivo di centro-trattino-sinistra». E quando il trattino cadde e D' Alema si spostò più a sinistra, il professore se ne andò.
Da allora più nulla. Ma adesso ci riprova con il vecchio amore, il Pli. «Oggi si dicono tutti liberali, una chiesa che ha almeno sette confessioni. Però in Italia una politica liberale e liberista non c' è mai stata. Sarebbe il momento di cominciare».