Francesco Bonazzi per ''la Verità''
Già il coronavirus era un' arma batteriologica degli americani, ma ora, dopo che grazie al coraggioso impegno del Partito comunista cinese l' epidemia è stata quasi debellata in tutta la Cina, se in alcune zone c' è una seconda ondata è colpa degli stranieri. Anche di quelli che non se ne sono mai andati. E gli italiani sono i primi a essere guardati con sospetto. Ancora un mese, e l' avremo inventato noi, il Covid-19. A parlare con i nostri connazionali che vivono nel Sud della Cina, si raccolgono racconti tra l' incredulo e lo sconsolato.
E del resto anche il console generale a Canton, Lucia Pasqualini, nei giorni scorsi ha registrato il cambio di clima ed è dovuta intervenire pubblicamente, chiedendo di «non dare la colpa agli stranieri» e di continuare ad andare tranquillamente nei locali italiani.
La Pasqualini è stata molto vicina ai cinesi. Quando questi sono stati oggetto di qualche episodio di razzismo in Italia e quando in Cina c' era ancora una parvenza di senso di colpa, adesso totalmente sparita grazie ai «successi» del governo di Pechino nella lotta alla pandemia e ai generosi invii di materiale sanitario anche in Italia, la diplomatica italiana aveva fatto sentire tutta la vicinanza della comunità italiana di Canton.
Intervistata da un giornale online locale GdToday, il 14 febbraio la Pasqualini aveva detto: «Siamo contro ogni forma di razzismo e discriminazione. Fobie e paure sono come malattie, seminate da Internet e dai social media. Dovremmo lavorare insieme per creare più comprensione reciproca tra i popoli». Ma nel frattempo le cose devono essere un po' cambiate se nei giorni scorsi, su Gdio News, la stessa Pasqualini ha affermato: «Abbiamo sempre sostenuto l' impegno delle autorità nel contenimento del virus. Il virus non ha confini e non fa distinzioni tra i popoli. Questa pandemia deve essere affrontata con spirito di collaborazione e solidarietà».
E fin qui, tutto bene. Ma poi arriva la sottolineatura amara: «Spiace constatare che negli ultimi tempi gli stranieri vengano incolpati di portare in Cina un virus di cui non si conosce ancora con certezza definitiva l' origine, ma che ha colpito duramente all' inizio questo Paese prima di altri. L' accanimento su chi di volta in volta viene colto dalla malattia non è il modo per risolvere il problema».
Chi vive in Cina non ha pieno accesso a Internet, le chat sono controllate e uno dei pochi mezzi per parlare con i nostri connazionali di temi delicati è Skype, in italiano.
Un ristoratore laziale che ha un' attività a Canton non nasconde né il fastidio né la preoccupazione. «Leggo sui siti dei giornali italiani notizie che sono principalmente traduzioni di Xinhua, Global Times e Cctv, oppure che arrivano da personaggi che hanno grossi interessi in Cina come calciatori o simili», attacca P.D, «ma la situazione qui è tutt' altro che migliorata».
C' è il noto problema delle statistiche ufficiali (e tardive) su morti e contagi e tutto quello per cui, da qualche secolo, almeno in Occidente, è risaputo che conviene vivere in una democrazia. Il nostro connazionale è un fiume in piena: «Siamo sempre bloccati, altroché. Sono appena uscito da una quarantena che mi ha imposto la polizia, lo scriva così, la polizia, solo perché sono italiano. E ormai quasi non esco lo stesso per paura di farmi vedere».
Non va meglio a Nanning, 6,5 milioni di abitanti e Capitale della regione autonoma del Guangxi (la «Florida della Cina» per il clima sempre mite), non lontano dal Vietnam.
Anche qui riusciamo a parlare con un italiano, un veneto, che ha un' attività commerciale e conferma un certo accanimento: «Noi stranieri veniamo messi in quarantena arbitrariamente dalle autorità locali e abbiamo restrizioni sulle libertà personali».
Per esempio? «Se voglio andare in un' altra città, nonostante abbia l' app per la salute sbandierata anche in Italia e che traccia i miei movimenti, succede che ogni provincia ne ha una differente quindi in ogni posto in cui vuoi spostarti devi fare 14 giorni di quarantena alla volta». Se non fosse un dramma, ci sarebbe quasi da ridere per una certa analogia tra Cina e Italia sul fronte del «regionalismo». Molti italiani hanno protestato con i vari consolati, ma le nostre rappresentanze diplomatiche non possono certo far togliere le quarantene ai singoli. Di sicuro, è antipatico subire discriminazioni solo perché gli stessi media locali che dapprima hanno indicato l' origine del virus in una fantomatica arma batteriologica americana, adesso hanno puntato sull' Italia come punto di origine del virus.
Alla Verità raccontano anche la storia di una cittadina britannica che frequenta la comunità italiana di Nanning e che, suo malgrado, è diventata una piccola celebrità tra gli stranieri. La signora K. ha dovuto fare tre test al virus e ben quattro quarantene. Per tornare a casa ha preso un treno con cuccetta, in stazione le hanno misurato la febbre e l' hanno fatta partire, ma con un poliziotto tutto per lei, che la controllava e impediva ai cinesi di parlarle. Arrivata a casa, l' hanno portata al suo appartamento in ambulanza e a sirene spiegate e ora i vicini la guardano come una lebbrosa.
La storia della signora inglese, del resto, è perfetta per la propaganda del Pcc. I media cinesi, ormai, tentano di far passare con insistenza la «notizia» che esistono solamente i contagi di «ritorno», accusando in sostanza gli stranieri per un virus che è made in China, che si è sviluppato nei folli mercati alimentari di animali vietati e che è stato «comunicato» al mondo con oltre un mese di ritardo e dopo aver richiamato in Cina materiale sanitario da tutto il mondo.