Antonio Carioti per corriere.it
Sempre impegnato a sinistra, era stato per molti anni un esponente di spicco del Pci. Ma l’italianista e critico letterario Alberto Asor Rosa, scomparso all’età di 89 anni, non si riconosceva nel modello di «intellettuale organico» tratteggiato da Antonio Gramsci. Per sé rivendicava piuttosto il ruolo di intellettuale critico, niente affatto compiacente verso i dirigenti politici, ma capace di contribuire alla vita del partito in termini propositivi, indicando la necessaria sintesi complessiva rispetto all’invitabile frammentazione delle scelte quotidiane.
D’altronde, rispetto alla linea ufficiale del Pci, il lavoro di Asor Rosa nel suo campo di studi era spesso andato controcorrente. Pubblicò il libro Scrittori e popolo, assai polemico verso l’ortodossia ideologica dell’epoca, per l’editore Samonà e Savelli nel 1965, quando era fuori dal partito. Ma anche in seguito, tornato alla militanza comunista, si era riservato una sorta di diritto all’eresia che gli aveva procurato molte antipatie.
Ben più grave però era l’isolamento che avvertiva negli ultimi anni, rispetto a un panorama culturale che giudicava appiattito e imbarbarito. Nel libro intervista Il silenzio degli intellettuali, curato da Simonetta Fiori (Laterza, 2009), Asor Rosa aveva detto di sentirsi come «quegli animali primitivi che a un certo punto uscirono di scena per il totale mutamento delle condizioni generali del pianeta». Insomma, un dinosauro in via di estinzione.
Nato a Roma il 23 settembre 1933, figlio di un ferroviere socialista, Asor Rosa era cresciuto in un ambiente refrattario ai dettami del fascismo, anche se il padre aveva dovuto prendere la tessera del partito unico e la sua infanzia lo aveva visto partecipare ai riti del regime. Di quel periodo aveva scritto quasi settantenne nella sua prima prova letteraria, L’alba di un mondo nuovo (Einaudi, 2002), libro colmo di lieve autoironia e calore umano, specie nel racconto delle estati ad Artena (località rurale del Lazio dove abitava la nonna materna), con una bella premessa sul valore della memoria.
Nel frattempo molta acqua era passata sotto i ponti. Asor Rosa si era iscritto alla gioventù comunista nel 1952, poi era uscito dal partito nel 1956, in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria. Ma il suo era stato un distacco da sinistra, che lo aveva portato su lidi operaisti. Con altri giovani, tra cui Mario Tronti, si era aggregato a Raniero Panzieri e alla rivista «Quaderni Rossi», con l’intento di stabilire un rapporto organico tra la ricerca intellettuale e le lotte della classe lavoratrice.
Quindi aveva pubblicato Scrittori e popolo, un attacco frontale al modello nazionalpopolare della narrativa di sinistra, solitamente contigua al Pci: «L’idea di fondo — avrebbe ricordato anni dopo Asor Rosa — era che la ricerca inesausta e prepotente da parte dei critici progressisti di una letteratura socialmente impegnata avesse contribuito a impedire la nascita in Italia di una grande e moderna letteratura borghese di livello europeo». Prendeva di mira, tacciandoli di «populismo», Elio Vittorini, Vasco Pratolini, Cesare Pavese, i romanzi romani di Pier Paolo Pasolini. E suscitò scandalizzate reazioni di figure eminenti della sinistra comunista, tra cui Carlo Salinari e Carlo Muscetta.
Eppure pochi anni dopo Asor Rosa ritornò nel Pci. Vi arrivò attraverso il Psiup, cui aveva aderito nel 1968. Convinto sostenitore della politica di compromesso storico perseguita da Enrico Berlinguer, si ritrovò in prima linea a fronteggiare la rivolta giovanile del 1977, che aveva nell’Università La Sapienza di Roma, dove Asor Rosa insegnava, il suo centro propulsore di maggior rilievo.
Fu un trauma per lui la cacciata dall’ateneo del leader sindacale Luciano Lama, costretto a battere in ritirata dai contestatori violenti. Subito dopo Asor Rosa pubblicò un articolo intitolato Le due società, ristampato poi con altri scritti nel volume omonimo (Einaudi, 1977). Sottolineava la gravità del divario tra i lavoratori dipendenti assunti regolarmente e l’area dell’emarginazione sociale. Ma fu sempre intransigente verso chi, come Umberto Eco, mostrava comprensione per i violenti. Eletto alla Camera per il Pci nel 1979, Asor Rosa concluse quell’esperienza prima della fine della legislatura.
Direttore del progetto della Letteratura italiana Einaudi (1982-2000), acquisì nel mondo accademico un notevole prestigio, che gli valse anche il soprannome di «barone rosso». Indubbio però era il suo impegno didattico: rivendicava tra l’altro di non aver mai tenuto un corso identico a un altro. E reputava nefasto l’uso di criteri quantitativi per valutare l’attività di ricerca: «Per me la qualità di un testo si prova leggendolo: tutto il resto è ciarpame burocratico».
Nel 1989 Achille Occhetto, segretario del Pci, affidò ad Asor Rosa la direzione di «Rinascita», la rivista teorica fondata da Palmiro Togliatti. Ma ben presto tra i due intervenne una irrimediabile rottura sulla svolta che avrebbe condotto alla nascita del Pds. Asor Rosa non era tenero con il modello sovietico, ma considerava il comunismo «un grande movimento di liberazione umana»: recidere il legame con quella storia, come proponeva Occhetto, gli parve un disastroso «impoverimento». Del resto, pur riconoscendo alcuni meriti alla civiltà borghese, Asor Rosa rimaneva ostile al capitalismo e alla superpotenza americana.
La prima guerra del Golfo lo indusse a scrivere l’infuocato e visionario pamphlet Fuori dall’Occidente (Einaudi, 1992), denso di citazioni bibliche, in cui descriveva in termini apocalittici il nuovo ordine mondiale promosso dagli Stati Uniti, muovendo accuse di razzismo allo Stato d’Israele. Pur senza mai abbandonare l’impegno civile, che declinava ormai soprattutto in chiave ambientalista, dall’inizio del nuovo secolo Asor Rosa aveva intensificato la sua produzione scientifica, accompagnandola alla pubblicazione di opere letterarie.
Nel 2009 aveva dato alle stampe una ponderosa Storia europea della letteratura italiana in tre volumi (Einaudi). E nel 2015 aveva ripubblicato, sempre per Einaudi, Scrittori e popolo, con un aggiunta dal titolo Scrittori e massa, nella quale lamentava la destrutturazione del tessuto sociale, dominato da un «individualismo atomistico», e la scomparsa di qualsiasi parvenza di «società letteraria». Poi nel 2019, con Machiavelli e l’Italia (Einaudi), era tornato alle vicende cinquecentesche, le invasioni straniere nelle quali individuava le radici della «disfatta storica» del nostro Paese.
Di recente aveva raccolto le sue riflessioni su Joseph Conrad nel saggio L’eroe virile (Einaudi). Quando ai libri di narrativa, dopo L’alba di un mondo nuovo erano venuti, editi da Einaudi, Storie di animali e altri viventi (2005), Assunta e Alessandro (2010), Racconti dell’errore (2013), Amori sospesi (2017). Testi che esplorano i temi più sensibili dell’esistenza umana: gli affetti, il tempo, la memoria, la sessualità. Argomenti che l’autore aveva già sondato molti anni prima in un volume di riflessioni e aforismi, L’ultimo paradosso (Einaudi, 1985). Qui aveva scritto: «La verità è che l’uomo va a stare da morto esattamente come stava prima di nascere: la vita del singolo è un tragitto brevissimo tra due assenze». Ma anche: «Fino all’ultimo scoperte sono possibili». E lui, Asor Rosa, non aveva smesso mai di cercare.
paolo mieli e alberto asor rosa foto di bacco
BIOGRAFIA DI ALBERTO ASOR ROSA
Da www.cinquantamila.it – La storia raccontata da Giorgio Dell'Arti
• Roma 23 settembre 1933. Italianista. Professore e saggista. Ideatore della monumentale Storia della letteratura (11 volumi Einaudi). «Figlio unico di una famiglia della piccola borghesia impiegatizia: il padre lavora al Ministero dei Trasporti, è una sorta di ferroviere non viaggiante, la madre ha lasciato invece l’impiego per dedicarsi al figlio» (Paolo Mauri).
• È stato ordinario alla Sapienza di Roma dal 1972 al 2003. Di formazione marxista, iscritto al Pci nel 1952, ne era uscito nel 1956, all’invasione dell’Ungheria. Vicino alle posizioni operaiste, assieme a Mario Tronti è stato fra i fondatori di Quaderni Rossi (1961) e di Classe operaia (1964). Nel 1965 pubblicò un libro che fece scandalo, Scrittori e popolo, contro la cultura nazionalpopolare. Demolì il populismo che aveva rappresentato «un popolo artefatto, idealizzato, trasfigurato» e che è stato mito di tutti i regimi di destra o di sinistra, liberali o autoritari.
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• «Spara ad alzo zero su scrittori quali Giovanni Pascoli, Carlo Levi, Carlo Cassola, Romano Bilenchi, Vasco Pratolini sino ad arrivare a Pier Paolo Pasolini: tutti segnati dal marchio di populisti. E dalla sua requisitoria non esce bene nemmeno Antonio Gramsci per quella sua esaltazione del “nazional-popolare”» (Gabriella Mecucci). A questo popolo finto, Asor Rosa contrappose il «popolo vero», destinato a fare la rivoluzione che si identificava con la classe operaia, cioè «la rude razza padana».
• Deputato come indipendente nelle fila del Pci fra il 1979 e il 1980.
• Scalpore nel 2013 quando sul manifesto immaginò, «per rimediare alla democrazia italiana al collasso», una «prova di forza che (...) si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione...».
• Anche romanziere: L’alba di un mondo nuovo, Storie di animali e altri viventi, Assunta e Alessandro, I Racconti dell’errore (tutti per Einaudi).
• Dal 2006 guida in Toscana un coordinamento ambientalista, molto attivo nella difesa del territorio e del paesaggio (i maligni dicono che sia perché non vuole che l’autostrada gli passi vicino alla casa di campagna).
• «Il meglio e il peggio della vita vengono sempre da dentro, chi vi racconta il contrario non sa di che parla».
• Una figlia, Laura, una delle colonne portanti della Enciclopedia Treccani.
• Detto sprezzantemente dagli avversari “Palindromo” (come il suo cognome, che può essere letto da sinistra a destra e viceversa senza cambiare).
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paolo mieli e alberto asor rosa foto di bacco fausto bertinotti alberto asor rosa fausto bertinotti alberto asor rosa Alberto Asor Rosa ASOR ROSA 1 ezio mauro saluta alberto asor rosa
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