Niccolò Zancan per “la Stampa”
Tutta colpa di un vecchio muro costruito nel 1930, un metro e ottanta di altezza per due metri di lunghezza. Quel muro divideva da sempre i bagni Liggia dai bagni Maria nel quartiere Sturla di Genova, poco dopo la chiesa di Boccadasse in direzione levante. Nell' estate del 2018 la spiaggia si era molto consumata. Il muro finiva nel mare. Impediva alle persone di poter camminare lungo la battigia.
Il fatto che il proprietario dei bagni Liggia, il signor Claudio Galli, abbia chiesto di poterlo abbattere ha innescato un' inchiesta giudiziaria che adesso spaventa tutti i concessionari degli stabilimenti balneari d' Italia. E che potrebbe avere una soluzione politica clamorosa su proposta dalla Lega: un gigantesco condono penale per gli «abusi edilizi su suolo demaniale».
Eppure, all' inizio, quella dei bagni Liggia sembrava davvero una storia minima. Una storia locale. «Ho chiesto al Comune di poter tirare giù quel muro per ragioni di sicurezza visto che era pericolante, e anche perché volevo garantire il passaggio pubblico. Mi hanno risposto che non solo potevo farlo, ma dovevo. Ho chiamato un operaio e abbiamo iniziato a lavorare. Era la fine di maggio del 2018».
Così inizia la storia. Ma la capitaneria di porto non era convinta che la risposta ricevuta via mail dal Comune di Genova fosse sufficiente per mettere in moto quel piccolo cantiere. Ha posto sotto sequestro ciò che restava del muro. E ha denunciato il signor Galli per il reato di «innovazione abusiva su spazio demaniale». Ma quando lui si è presentato in procura per il primo interrogatorio ha scoperto che l' indagine si era allargata, e di molto: «Il pm Walter Cotugno sostiene che il mio stabilimento sia abusivo. Tutti i rinnovi della concessione demaniale fatti dal Comune di Genova non sarebbero validi.
Perché contrari alla direttiva Bolkestein del 2006, che prevede di fare delle gare d' appalto e rivedere i precedenti accordi. Il pm ritiene, cioè, che una direttiva europea sia superiore e dirimente rispetto a tutte le pezze legislative messe in campo dalla politica italiana in questi anni». Primo rinvio nel 2009, secondo rinvio nel 2012, terzo rinvio nel 2015. Tutti i governi hanno sempre evitato di affrontare la questione Bolkestein. Il governo a guida Lega e Cinque Stelle ha spostato al 2034 la revisione delle concessioni. Ma ecco a Genova, all' inizio dell' estate del 2019, il caso dei bagni Liggia.
Dopo un anno di appelli e ricorsi in Cassazione, il Tribunale del Riesame ha ordinato il sequestro dello stabilimento balneare. Mercoledì mattina i militari della capitaneria di porto sono venuti in forze. Hanno alzato quelle reti arancioni che solitamente vengono usate per chiudere i cantieri e delimitare le zone pericolanti. Resta un passaggio al mare, la possibilità di accedere a un moletto. Restano i clienti affezionati che non intendono andarsene, e stanno cercando un angolo libero per prendere il sole e resistere: «È una decisione assurda».
E adesso, veniamo alle possibili conseguenze del caso. «Non licenzio nessuno nonostante i danni economici, ma non ci sto ad essere l' unico bischero in Italia», dice il signor Galli. Altri 10 mila e 826 stabilimenti balneari italiani sono nella stessa identica situazione del suo. Anche loro hanno usufruito di proroghe.
Anche loro stanno disattendendo la direttiva Bolkestein. «Ho già preparato un esposto per la procura ma aspetto a presentarlo, perché il ministro Gianmarco Centinaio ha chiesto 5 giorni di tempo. L' idea del governo è fare un decreto legge per depenalizzare l' articolo 1161 del Codice Navale. Quello sulle occupazioni abusive su suolo demaniale. L'idea è toglierlo dal codice penale, per passarlo a quello civile. Il mio stabilimento sarebbe salvo. E così la questione passerebbe ai Tar». Una parola che, in quanto tale, non è mai suonata risolutiva. Anzi. Ecco perché il caso dei bagni Liggia non è più una piccola storia locale.