Fabio Amendolara per "la Verità"
Più che un pentimento vero e proprio, al giudice del Tribunale di sorveglianza di Roma che ha rigettato la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali, le ultime verbalizzazioni dell'avvocato Piero Amara sono sembrate scelte di «opportunismo» processuale.
L'avvocato di Augusta (Siracusa), prima di finire in carcere a Potenza un mese fa (è poi stato scarcerato dal gip dopo un lungo interrogatorio e due interrogatori investigativi con i pm), si occupava di assistenza ai disabili per la cooperativa il Melograno, dove era già stato affidato in prova (ai giudici ha spiegato di non svolgere più il lavoro di avvocato ma solo quello di imprenditore, titolare di una società che si occupa di energie rinnovabili).
Mercoledì si è quindi costituito nel carcere di Orvieto per scontare una pena residua di 3 anni e 10 mesi di reclusione nel frattempo diventata definitiva. L'ex legale esterno di Eni e Ilva, che alla Procura di Milano, nel dicembre 2019, aveva raccontato l'esistenza di una presunta loggia massonica coperta denominata Ungheria, ha patteggiato più di una condanna per corruzione in atti giudiziari, come risulta dal suo casellario giudiziario (che ha una copertura temporale di oltre dieci anni) di quattro pagine in cui la giustizia italiana porta il conto delle sue pene.
Alla richiesta di affidamento in prova era allegata una dichiarazione dei pm milanesi Laura Pedio e Paolo Storari che, proprio sulla base delle dichiarazioni relative alla loggia Ungheria, attestavano la sua collaborazione. «Dopo una prima fase nella quale egli ha reso dichiarazioni parziali», è scritto nel documento, «[] ha intrapreso un percorso di collaborazione che ha consentito a questo Ufficio di acquisire elementi importanti al patrimonio conoscitivo dell'indagine».
Non solo: «L'atteggiamento collaborativo ad oggi tenuto dall'indagato e la rilevanza del contenuto delle sue ampie dichiarazioni consentono fondatamente di ritenere che egli abbia rescisso i legami con l'ambiente criminale nel quale sono maturate le condotte illecite per le quali è indagato e che egli si sia effettivamente ravveduto rispetto a scelte devianti».
Parole che certificherebbero la bontà delle dichiarazioni di Amara (che hanno prodotto condanne per un paio di giudici), ma soprattutto la sua volontà di collaborazione. Poi, però, Amara è finito nei guai a Potenza, dove il procuratore Francesco Curcio gli contesta l'ennesimo episodio di corruzione in atti giudiziari, perché, sostiene l'accusa, grazie anche al suo contributo, la Procura di Taranto, in cui era stato nominato come capo Carlo Maria Capristo, si sarebbe ammorbidita nei confronti dell'Ilva.
Il giudice di Roma, infatti, nel suo provvedimento fa riferimento a procedimenti ancora aperti. Anche l'entità della pena, 3 anni e 10 mesi, oltre alle valutazioni sulla sua reale collaborazione con la giustizia, sembra aver avuto un certo peso nella decisione. Il provvedimento è impugnabile in Cassazione. E l'avvocato di Amara, Francesco Montali, spiega: «È un atto che stiamo ancora valutando».