Paola Di Caro per il “Corriere della Sera”
INTERVISTA DI MATTEO SALVINI AL NEW YORK TIMES
Le elezioni non sembrano alle porte, ma la corsa per l' accreditamento internazionale è cominciata da un pezzo. E ha avuto una accelerazione imprevista la scorsa settimana, nel pieno peraltro della preparazione per un voto questo sì vicino, le Regionali di primavera, che vede ancora più che contrapposti i partiti del centrodestra.
Succede infatti che, complici due eventi come la National Conservatism Conference che si è tenuta a Roma qualche giorno fa, e l' evento a Washington del National Prayer Breakfast, Giorgia Meloni abbia avuto una visibilità notevolissima. Che ha lasciato in qualche modo ai margini sia Silvio Berlusconi che, soprattutto, Matteo Salvini.
matteo salvini come donald trump 1
La leader di Fratelli d' Italia infatti non solo ha aperto il primo evento e ha incontrato per prima il premier ungherese Viktor Orbán, che guarda al suo gruppo europeo dei Conservatori come approdo se dovesse lasciare o essere espulso dal Ppe, ma è anche stata invitata alla kermesse in Usa i cui lavori sono stati chiusi dal presidente Donald Trump.
GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI
Nessun incontro tra i due, sia chiaro, ma è un fatto che Giorgia Meloni negli ultimi tempi sia diventata l' esponente politico più studiato, osservato, e in qualche modo più interessante per quegli ambienti internazionali - cancellerie comprese - che guardano ai possibili futuri interlocutori di governo se alle prossime elezioni vincesse il centrodestra.
Un' evoluzione che non può lasciare indifferente Matteo Salvini, politico che solleva qualche perplessità sulla «presentabilità» internazionale soprattutto all' interno della Ue, dove sia la collocazione europea, sia certe uscite poco eurocentriche, sia le azioni compiute da ministro sul tema immigrazione - il caso Gregoretti e non solo - sia le amicizie russe, sono viste con sospetto.
Ecco allora che il leader della Lega passa al contrattacco. Dopo aver a sua volta incontrato nei giorni scorsi Viktor Orbán, ieri ha concesso una lunga intervista al New York Times dove si paragona addirittura a Trump: «Vedo similitudini con una sinistra che prova a vincere con mezzi legali dato che non riesce a farlo con quelli democratici», dice a proposito del tema centrale per il quale viene sentito, il caso Gregoretti appunto, sul quale il Senato si esprimerà il prossimo 12 febbraio decidendo se concedere l' autorizzazione al processo. Caso che viene paragonato alla richiesta di impeachment del presidente Usa da parte dei democratici, dalla quale è stato assolto.
Quando poi gli si domanda se non sia spaventato, come dovrebbe essere in ogni Paese «normale», Salvini fa la faccia dura e ribadisce la sua linea: «Per niente. Metteranno sotto processo l' intero popolo italiano». Parole che fanno commentare in modo critico il cronista, Jason Horowitz: «Il caso Gregoretti ha riarmato Salvini», definito un «esperto di vittimismo politico».
Insomma, non è facile trovare consensi, e il leader della Lega lo sa. Tanto da aver nominato responsabile delle relazioni internazionali del suo partito Giancarlo Giorgetti, con l'incarico di «rompere l' isolamento con quelli che stanno nelle stanze dove bisogna passare per poter governare».
Basterà a frenare l' irruenza dell' alleata Meloni, che un pensierino alla premiership lo fa da tempo, pur ribadendo che a decidere saranno gli elettori con il loro voto? Si vedrà nei prossimi mesi, quando anche dalle Regionali arriveranno risposte. È quello il terreno più consono per la sfida sempre meno sotterranea tra i due quarantenni del centrodestra, visto che Silvio Berlusconi è saldamente nel Ppe e gestisce le sue relazioni internazionali rivendicando appunto il ruolo di forza riconosciuta e responsabile, ma sul piano dei numeri sembra avere molte difficoltà a competere.