Giuseppe Sarcina per il Corriere della Sera
Il bando presidenziale su profughi e viaggiatori resta in bilico. «In settimana» la Corte d'Appello di San Francisco deciderà sulle controdeduzioni presentate lunedì 6 febbraio dal Dipartimento di Giustizia. Non è certo la prima volta che un ordine esecutivo della Casa Bianca venga bloccato dal potere giudiziario. Un solo esempio: il piano per la regolarizzazione degli immigrati senza documenti voluto da Obama e bocciato dalla Corte Suprema nel 2016.
Ma qui siamo di fronte a una frattura più profonda tra i poteri dello Stato. Negli ultimi giorni Donald Trump ha attaccato sul piano personale il giudice federale di Seattle, James Robart, che venerdì 3 febbraio aveva ordinato di cancellare il divieto temporaneo di ingresso nel Paese per tutti i rifugiati e per i viaggiatori provenienti da sette Paesi musulmani: Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan, Yemen. Robart è diventato «il cosiddetto giudice» dalle «opinioni ridicole» in un paio di tweet del presidente.
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La decisione del tribunale di Seattle era stata subito impugnata dall' amministrazione Trump, ma la Corte di San Francisco l'ha confermata in prima battuta il 4 febbraio, sollecitando, però, il governo di Washington a produrre altri elementi entro ieri, 7 febbraio.
Intanto lo schieramento delle toghe anti-bando continua a rafforzarsi, da una costa all'altra.
Lunedì 6 febbraio i procuratori generali dello Stato di Washington (Ovest), Bob Ferguson, e del Minnesota (Nord), Lori Swanson, hanno inviato una memoria congiunta ai tre giudici del Nono distretto d'appello a San Francisco. La tesi: l'ordine esecutivo è semplicemente «illegale». Il documento è stato firmato da altri 13 procuratori, dal Massachusetts alla Virginia. Il fronte si muove in modo coordinato.
Molti magistrati si telefonano e si scrivono in continuazione dal 27 gennaio, il giorno in cui Trump firmò il decreto esecutivo. Il New York Times rivela che qualche giorno prima, mercoledì 24 gennaio, tre procuratori di matrice democratica si incontrarono a una cena riservata in un hotel di Fort Lauderdale, Florida.
Intorno a qualche portata di pesce, Eric Schneiderman, «attorney general» di New York e i colleghi Josh Shapiro della Pennsylvania e Xavier Becerra della California discussero delle possibili mosse di Trump, in particolare proprio sull' immigrazione.
Tutto ciò significa che nel Paese si sta cristallizzando una linea di opposizione giudiziaria che ha cominciato a prendere forma prima ancora che arrivassero le misure concrete.
A questo punto è opinione diffusa (l'ha detto ieri lo stesso presidente) che il conflitto possa finire davanti alla Corte Suprema, l' ultima istanza costituzionale. E qui sorge un' altra complicazione legale e politica.
Il presidente ha appena designato il giudice iper conservatore Neil Gorsuch per ripristinare l'organico di 9 componenti: 5 indicati da repubblicani, 4 da democratici. Ma l' opposizione cercherà di ritardare il più possibile la ratifica del Senato. La controversia sui visti di ingresso potrebbe dunque approdare in una Corte ancora in formazione ridotta.
Se, come è probabile, il risultato finale fosse di parità, 4 a 4, rimarrebbe in vigore l' ultima sentenza pronunciata da un tribunale federale. L' eventuale «no» al bando del distretto d' Appello di San Francisco sarebbe definitivo.