MARIO AJELLO per il Messaggero
Intanto, da lunedì, per la ripresa dei lavori parlamentari, il Transatlantico sarà chiuso. Nel senso che verrà utilizzato soltanto come appendice dell'aula, con gli scranni dei deputati montati lungo questo «corridoio dei passi perduti» in modo da evitare di ammassare tutti nell'emiciclo a rischio cluster.
Si torna alla misura emergenziale dei mesi scorsi, e non è detto che riaprirà il Transatlantico per il super-spettacolo - di cui questo spazio di Montecitorio è da sempre palcoscenico per trame, sgambetti e accordi - dell'elezione del Capo dello Stato dal 24 gennaio.
L'occhio va al tasso di Omicron, se impazzerà come non mai, potremmo non avere del tutto il Transatlantico essendo per eccellenza luogo d'assembramento nelle grandi occasioni. Se invece la variante Covid resterà grave ma non a livello da aver paura a mettere il naso fuori di casa, il Transatlantico resterà in funzione ma a scartamento ridotto: come luogo di fugace passaggio per i 1009 grandi elettori diretti a scaglioni e solo per una votazione al giorno nell'aula con Ffp2 e fifa blu d'infettarsi e non come terreno di incontro e di scontro, dello struscio, dell'intrigo e della preparazione dei fucili -
GIORNALISTI PARLAMENTARI IN TRANSATLANTICO
«Gli onorevoli-lupara», diceva Indro Montanelli a proposito dei franchi tiratori, «cominciano a prendere la mira dal lungo corridoio davanti all'aula» - e così verrà a mancare o quasi, e che tragedia per i giornalisti ridotti numericamente al lumicino, un pezzo fondamentale dell'epopea di ogni corsa al Colle.
IL DIVO Chi non ricorda, ad esempio, Paolo Cirino Pomicino, interpretato dallo strepitoso Carlo Buccirosso, che nel Divo si sbatte da un angolo all'altro del Transatlantico per portare alla vittoria Andreotti su Forlani e poi persero entrambi nel 92 perché alla fine al Colle andò Scalfaro?
Proprio in quell'occasione, quando Forlani fu battuto per 29 voti dagli andreottiani in uno degli scrutini decisivi, in Transatlantico venivano distribuite la schede da votare e qualcuno di nascosto ne prendeva due. Nino Cristofori, sottosegretario di Andreotti, girava nel corridoione facendo vedere la scheda con su scritto Forlani, per rassicurare quella parte della Dc, ma aveva in tasca un'altra scheda dove c'era il nome di Andreotti. E non solo lui votò con la scheda numero due pur sbandierando la numero uno.
L'importanza del Transatlantico - dove come scrive Giorgio Giovannetti nel volume Passi perduti «era possibile individuare e anticipare fibrillazioni, crisi, nuove alleanze» - è sintetizzata tra l'altro in questo episodio riguardante Aldo Moro. Nel 71 si diceva fosse lui il favorito nella successione di Saragat. I suoi gli dicevano, dal Transatlantico affollato di mille grandi elettori: «Scendi qui sotto, basta che passi e che mostri apertamente la tua volontà di andare al Colle e tutti ti voteranno». Ma Moro replicò tranquillamente: «Non c'è bisogno che mi metta in vista, per far sapere che io esisto». Restò in disparte e al suo posto al Colle salì Leone.
Appena al Quirinale fu eletto Pertini, a 82 anni, un ironico deputato democristiano, Zucconi, sparò in Transatlantico una battuta rimasta proverbiale: «Speriamo che, al primo presentat' arm dei corazzieri, non gli cada la dentiera». E tempo prima, sempre Pertini, vanitosissimo, più di una volta inseguì il malcapitato giornalista lungo il corridoio disegnato dal Basile gridandogli: «Servo, servo, servoooo!!!».
LE ALTERNATIVE E insomma un Transatlantico chiuso o semi-disertato rappresenterebbe insieme un sacrosanto atto di responsabilità, se la lotta alla pandemia lo impone, e insieme un rimpianto.
Perché non è la stessa cosa poter vedere dal vivo le trame per il Colle (con le mascherine sul volto dei protagonisti sarebbe comunque più difficile interpretarle) o vederle rinchiuse negli uffici dei leader, o nelle loro abitazioni private (a casa Speranza s' è svolta la riunione tra il ministro, Conte e Letta per stabile una strategia comune che ancora non c'è'), o nelle pizzerie (da Michele al Flaminio fanno base Di Maio e Giorgetti) e nei ristoranti (da Maxela hanno pranzato Meloni e Moratti), o nei centri studi (all'Arel riceve Letta), o a Villa Grande la war room del Cavaliere sull'Appia antica o in altri luoghi che non sono apertamente una piazza, un mercato e un mattatoio quanto lo è sempre stato il Transatlantico.
LUIGI DI MAIO GIANCARLO GIORGETTI
Lì dove passò Berlusconi - il giorno prima che Ciampi venisse eletto presidente, il 13 maggio del 99 - e si avvicinò al gruppetto di dalemiani seduti sui divanetti dicendo loro: «Siete sicuri che i vostri non faranno scherzi sulla candidatura di Amato?». Claudio Velardi lo rassicurò. E il giorno dopo Veltroni tirò fuori la candidatura immediatamente vincente di Ciampi. Ha raccontato di recente Giancarlo Leone, figlio dell'ex presidente e gran conoscitore di queste cose: «Quello quirinalizio è un gioco incredibile e crudele». Ma senza il Transatlantico, il sangue ci sarà lo stesso.