Marco Antonellis per Dagospia
ll castello dell’establishment istituzionale, economico e giornalistico alza i ponti levatoi e arma i cannoni difensivi a protezione di ciò che resta dei santuari del sistema. Soprattutto a difesa del “santino” più importante, il bersaglio grosso cui puntano i “barbari” iconoclasti del Parlamento: Mario Draghi.
Vedere le due vigilanze che se le danno di santa ragione in Commissione d’inchiesta sulle banche ha impressionato tutte le nomenclature capitoline. E pare che il Quirinale in testa ne sia rimasto abbastanza scosso. Nelle sfere in cui la stabilità è considerata un bene fondamentale, si guarda con preoccupazione al percorso dell’organismo bicamerale che, malgrado i buoni uffici del presidente Casini, non certo un dirompente populista, sembra indirizzato verso una resa dei conti tra politica da una parte e tecnostrutture dall’altra, Bankitalia in testa.
Non bastasse il M5S che da sempre cavalca la tigre del risparmio tradito, ora ci si è messo anche Matteo Renzi che chiaramente non vuole lasciare tutto il campo ai pentastellati e, in seconda battuta, alla Lega. Morale? Tre quarti del Parlamento, sinistre comprese, sembrano inclini a trasformare l’organismo di inchiesta in una sfida all’O.K. Corral, un’arena nella quale togliersi di dosso tutte le colpe dei disastri bancari e trasformare i regolatori in capri espiatori facendo così il gioco di Matteo Renzi che punta a far dimenticare lo scandalo Etruria ed ad a porsi, addirittura, come novello difensori dei risparmiatori.
“Bankitalia è al momento più basso della propria reputazione almeno dai tempi di Antonio Fazio. Noi siamo quelli che attacchiamo Visco da tempi non sospetti per le sue colpe oggettive – spiega uno dei membri Cinquestelle della bicamerale – ma effettivamente abbiamo notato che in commissione anche diversi parlamentari di altre forze politiche hanno trattato Barbagallo (il capo della vigilanza di Palazzo Koch, ndr) senza alcun tipo di riguardo. Proprio a pesci in faccia”.
Al netto del M5S che non può avere oggettivamente alcuna responsabilità nei crimini finanziari degli ultimi anni, il giochino della politica, Renzi in testa, sembra quello di usare l’organismo di Casini per ripulirsi l’immagine, additando le istituzioni di vigilanza quali grandi responsabili dei crac bancari. Il presidente centrista ci prova a buttare acqua sul fuoco. Ha insabbiato l’ipotesi del confronto all’americana tra Via Nazionale e Consob, ha fatto passare la linea della secretazione per le possibili audizioni degli ex patron delle venete, gli inquisiti Zonin e Consoli. Ma l’asticella sta salendo e i “barbari” si avvicinano al castello.
Martedì prossimo si passa a Montepaschi. Il MoVimento 5 Stelle presidia il tema da anni, tanto che già a inizio legislatura chiese una commissione di inchiesta ad hoc e tiene un riflettore sempre acceso sul caso David Rossi. Al tempo stesso il “nuovo” Renzi, travestito da paladino dei risparmiatori, pensa di usare il caso Mps per radere al suolo gli scissionisti alla sua sinistra, i Bersani e i D’Alema.
E’ chiaro, però, che quando si parla del Monte, l’obiettivo più grosso è Mario Draghi, il presidente Bce che ai piani alti della Repubblica italiana viene considerato come una specie di salvatore della Patria grazie al bazooka del suo “quantitative easing” e all’espansione monetaria che negli ultimi due anni ha schiacciato il costo del nostro debito. Il suo mandato a Francoforte scade nel 2019, non manca tanto. E la sua figura è da tempo individuata tra le “riserve della Repubblica”. Dunque da utilizzare all’occorrenza, anche perché il voto della prossima primavera è pieno di incognite e lo scenario successivo è avvolto nella nebbia.
L’establishment, allora, è già in allarme. Basta leggere alcuni interventi stampa delle ultime ore, soprattutto sulle testate del gruppo di De Benedetti, per capire che il cordone difensivo attorno al “sancta sanctorum” è scattato. All’epoca dello sciagurato acquisto di Antonveneta da parte di Mps (17 miliardi, debiti compresi), Draghi era governatore di Bankitalia e presidente del Financial Stability Board.
Il M5S ha già fatto capire in Commissione d’inchiesta che l’audizione di Draghi su Rocca Salimbeni sarebbe doverosa. Renzi non sembra contrario, anzi. Naturalmente se ne riparlerà, ma è evidente che a certi “poteri” sono già venuti i capelli dritti in testa davanti a questa prospettiva, visto il clima da rodeo che si respira nella bicamerale e vista la temporanea convergenza di interessi tra i vari schieramenti dei “barbari” in Parlamento.
I frenatori e gli insabbiatori, tuttavia, possono contare sul calendario. La commissione dovrebbe chiudere i battenti poco prima di Natale, se davvero si arrivasse a uno scioglimento delle Camere nella prima decade di gennaio per votare a marzo. Nessuno sembra voler spingere sull'acceleratore e a quanto pare uno dei motivi che hanno spinto il Quirinale a smentire le ipotesi di voto a maggio è proprio il non voler dare altro tempo alla commissione parlamentare d'inchiesta.
Dopo Montepaschi toccherebbe infatti alle quattro banche, secondo la cronologia a ritroso stabilita da Casini. Quindi si staglia all’orizzonte il nodo Etruria-Boschi-Ghizzoni, l’altra grande faglia che vedrebbe tornare i pentastellati e i renziani su sponde opposte. I primi sempre all’attacco e i secondi stavolta in difesa. La corsa contro il tempo è appena cominciata.