Eugenio Occorsio per “la Repubblica”
Il presidente iraniano Hassan Rouhani, accompagnato da 120 fra imprenditori e capi di agenzie statali, arriva oggi a Roma. Centinaia di industriali grandi, medi e piccoli sono pronti per mettersi in fila e stringergli la mano al forum organizzato da Confindustria e Ice per domani mattina.
Sarebbero già pronti contratti per 17 miliardi di euro, rivela il Financial Times, a conferma dell’importanza dei rapporti economici fra i due Paesi. Almeno quanto i rapporti politici: oggi Rouhani incontra Mattarella e Renzi, domani la visita dal Papa. Intanto, per le strade di Roma associazioni e dissidenti iraniani manifestano per il rispetto dei diritti umani.
Per le imprese parte l’assalto a un mercato finalmente libero e ansioso di recuperare anni di isolamento. Non c’è tempo da perdere: ieri il presidente cinese Xi Jinping ha firmato un accordo strategico- economico con lo stesso Rouhani a Teheran, e la Francia sta per incassare un contratto per l’acquisto di ben 114 aerei dalla Airbus per un maxi rinnovamento della Iran Air.
Non che le aziende italiane perdano tempo: la più veloce è stata la Snaidero che ha aperto tre giorni fa una showroom in Jordan Boulevard, via elegante di Teheran, e passa alla fase operativa la Fata (Gruppo Danieli) che ha un contratto da 570 milioni di euro con l’iraniana Ghadir per una centrale elettrica.
ANN CURRY INTERVISTA HASSAN ROUHANI
L’Iran è stato riammesso nel circuito finanziario Swift per cui le transazioni non avverranno più con il macchinoso passaggio per i sarafi, i cambiavalute locali, la banca in Dubai e infine il fornitore italiano, con i prezzi che intanto sono saliti del 30%. E sono centinaia gli affari in attesa da quando nel 2012 l’interscambio fra i due Paesi crollò da 7 a 2 miliardi per l’inasprimento delle sanzioni. Ci sono i presupposti, assicura la Sace, l’agenzia per l’export, per tornare al livello originario.
Entro il 2018 possono arrivare a tre miliardi le esportazioni aggiuntive, per poi crescere in valori esponenziali. Senza contare gli investimenti in loco. L’Iran ha bisogno di tutto. Si parla di 5 miliardi di contratti per la Saipem (oleodotti). La stessa Danieli, che costruì ai tempi dello scià due acciaierie, ha progetti infrastrutturali. Altrettanto la Condotte nelle risorse idriche, e poi Coet, Gavio, Fincantieri, la Innse di Milano nata dall’antica Innocenti Santeustacchio. Tutti hanno già lavorato in Iran così come la Trevi di Cesena che costruì il porto di Bandar Abbas e la Selta di Piacenza (telecomunicazioni) che vi realizzava l’8% del fatturato.
L’Italia è il secondo partner europeo di Teheran dopo la Germania. Parte in vantaggio chi coraggiosamente negli ultimi anni ha aperto fabbriche in Iran come la Idreco di Pavia (desolforazione) e la Immergas di Reggio Emilia (caldaie), finalmente libere dagli occhiuti controlli sul dual use dei componenti in arrivo dall’Italia.
Intanto Saipa e Khodro, due aziende iraniane dell’auto, cercano partner per potenziare la produzione fino ai 2,5 milioni di auto del mercato previsto post-sanzioni, il doppio dell’attuale: un’opportunità per la Fiat/Fca, che nel 2005 stava per varare un impianto da 275 milioni per 100mila auto. Più complesso il discorso petrolifero: Claudio Descalzi, capo dell’Eni, dice che «bisogna riflettere » sugli investimenti in questa fase di greggio cheap. Eppure l’Eni è in Iran dal 1957 e l’Italia importava negli anni ‘90 da Teheran il 18% del fabbisogno. La foto di Enrico Mattei campeggia nella sede della Nioc, la compagnia di Stato, a fianco di quella di Mossadeq, padre della patria.