1. ULTIMATUM DI GANTZ A NETANYAHU: «PIANO PER GAZA O LASCIO IL GOVERNO»
Estratto dell’articolo di Davide Frattini per il “Corriere della Sera”
Il 9 giugno compie 65 anni. Chi sperava annunciasse le dimissioni già ieri sera commenta che Benny Gantz ha fatto un regalo a Benjamin Netanyahu. Perché l’ex capo di stato maggiore minaccia sì il primo ministro, ma gli concede tre settimane — fino all’8 giugno — per accettare e implementare il suo piano in sei punti, altrimenti se ne andrà.
Tre settimane in cui […] resterà nella coalizione, tre settimane in cui — speculano i critici — Bibi, com’è soprannominato, avrebbe il tempo per le macchinazioni. Il premier non sta ad aspettare e respinge a giro di social media l’ultimatum: «Lo presenta a me invece che ad Hamas. È un disfattista». Sa che Gantz non ha i numeri per far cadere il governo.
benny gantz benjamin netanyahu
Mentre l’ormai avversario — ha lasciato l’opposizione per entrare nel consiglio di guerra ristretto — confida che il suo eventuale strappo definitivo spinga ancor più israeliani a scendere in strada, già ieri sera a migliaia chiedevano le dimissioni di Netanyahu e il cessate il fuoco immediato che porti al rilascio degli ostaggi.
[…] Restano 128 rapiti a Gaza, tra loro meno di 100 sarebbero in vita. Tutti insieme rappresentano una delle richieste fondamentali messe sul tavolo del premier da Gantz: devono essere riportati a casa; con l’alleato Gadi Eisenkot, pure lui ex capo di stato maggiore, spinge nel gabinetto per rilanciare i negoziati con Hamas, la cui distruzione resta uno degli obiettivi elencati nel discorso, assieme alla smilitarizzazione della Striscia.
benjamin netanyahu Benny Gantz
Gantz delinea quel piano per il dopoguerra che il premier ha solo vagheggiato, vuole tenersi stretti i ministri messianici e rappresentanti dei coloni: «Una piccola minoranza ha preso il controllo del ponte di comando, e sta guidando la nave Israele contro le rocce. È necessario un cambiamento adesso. Non resteremo, se Netanyahu continua verso l’abisso».
Propone un’amministrazione civile coordinata da palestinesi, arabi, americani ed europei per porre le basi su cui costruire il nuovo governo che prenderà il controllo di Gaza, dove i palestinesi uccisi hanno superato i 35 mila. Specifica che il futuro del territorio non può essere né Hamas né il presidente Abu Mazen. Non nomina l’Autorità palestinese e sembra non escludere il controllo militare israeliano.
La fine del conflitto […] deve aiutare «a promuovere la normalizzazione con l’Arabia Saudita», che però chiede in cambio la certezza della creazione di uno Stato palestinese: Netanyahu ribadisce subito di opporsi. Gantz pretende anche una legge […] per garantire «un’equa ripartizione del servizio militare obbligatorio», pensa alla promessa fatta da Bibi ai partiti ultraortodossi di una legge per esentare gli studenti delle scuole religiose.
2. BIBI «ASSEDIATO» DAI GENERALI DENTRO IL GABINETTO DI GUERRA E IL PAESE STA CON L’ESERCITO
Estratto dell’articolo di Davide Frattini per il “Corriere della Sera”
I generali. Anzi: «Voi generali», come li ha apostrofati Itamar Ben-Gvir. «E i vostri preconcetti». Stava litigando pochi giorni fa con Gadi Eisenkot, l’ex capo di stato maggiore entrato nel governo d’emergenza assieme a Benny Gantz, e ha lasciato fuoriuscire tutto il disprezzo per l’istituzione che l’86,5 per cento degli altri israeliani considera ancora la più affidabile: l’esercito. Nonostante gli errori di strategia, le miopie dell’intelligence, i buchi nella catena di comando che hanno portato al disastro del 7 ottobre e riconosciuti dagli stessi ufficiali.
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Ben-Gvir ha usato la parola conceptzia per accusare Eisenkot e le forze armate in cui ha servito per 41 dei suoi 63 anni. È il termine identificato con un altro fallimento nella lettura delle mosse nemiche: la guerra di Yom Kippur del 1973. Per il ministro della Pubblica sicurezza e gli altri coloni il «concetto» comprende anche una serie di decisioni prese da militari di carriera diventati primi ministri.
Scelte a cui anche Benjamin Netanyahu si è opposto e si oppone: a partire dagli accordi di Oslo con la prospettiva della nascita di uno Stato palestinese. Così il primo ministro e gli ultrà che ha portato al governo si sentono assediati dai «generali»: tre siedono nel consiglio di guerra, due sono suoi avversari, uno — Yoav Gallant — è stato licenziato a parole lo scorso marzo. È ancora lì.
[…] La prima volta che gli israeliani sono stati costretti a notare Itamar è stato nell’autunno del 1995, quando aveva 19 anni e si era presentato in televisione brandendo il logo di metallo della Cadillac governativa: «Abbiamo beccato la sua auto e presto beccheremo Rabin». Poche settimane dopo Yigal Amir, ultranazionalista messianico come lui, beccò Rabin con due proiettili prima ancora che su quell’auto potesse salire, un attentato che uccise anche il processo di pace voluto dal leader laburista.
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O da Ehud Barak, il soldato più decorato della Storia di Israele, che Ben-Gvir ha querelato chiedendo 100 mila shekel (25 mila euro) di risarcimento perché l’ha chiamato «terrorista». La destra estremista non gli ha mai perdonato il tentativo di rilanciare il dialogo con Yasser Arafat nel 2000 e lo accusa di aver alimentato la seconda intifada.
Fino ad Ariel Sharon […]. Per i coloni è solo l’uomo che aveva ordinato l’evacuazione e il ritiro da Gaza nel 2005, odiato al punto che alcuni rabbini del sionismo religioso avevano pronunciato una maledizione cabalistica contro di lui.
Era stato l’esercito a sgomberare gli insediamenti dai 363 chilometri quadrati che Bezalel Smotrich, altro ministro e capo oltranzista, ribadisce di voler tornare a occupare.
Tutti e due — Ben-Gvir perché condannato per sostegno a un’organizzazione terroristica ebraica — hanno evitato il servizio militare, obbligatorio per la maggior parte degli israeliani, tutti e due chiedono di sedere nel gabinetto ristretto che guida il conflitto.
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