Davide Carlucci e Emilio Randacio per "la Repubblica"
RENATO BOTTIIl "sistema Daccò" raccontato da chi lo ha vissuto, anzi subito. Un metodo fatto di relazioni personali (incurante delle competenze), di «pressioni sulle istituzioni pubbliche» e sui manager privati, di spregiudicate manovre per incamerare una quota sempre più grande della grande torta dei finanziamenti pubblici alla sanità. All'indomani della condanna a 10 anni del faccendiere per il crac dell'ospedale San Raffaele e per aver partecipato alla dissipazione dei fondi dell'ospedale fondato da don Luigi Verzè, leggendo tra le carte dell'inchiesta si intuisce sempre più nitidamente il ruolo dell'imputato.
PIERANGELO DACCO'Tra i tanti testimoni dei pm milanesi (Orsi, Pedio, Ruta e Pastore), che da oltre un anno scavano sulle responsabilità di un dissesto da oltre un miliardo di euro, le parole più nette sembrano essere quelle di Renato Botti. Non proprio un estraneo al sistema sanitario che il governatore Roberto Formigoni da sempre porta ad esempio della sua buona amministrazione. Botti, dal ‘97 al 2002, infatti, è stato direttore generale dell'assessorato alla Sanità lombarda. Poi, fino al 2010, ha ricoperto lo stesso incarico proprio alla fondazione San Raffaele.
Quando era in Regione, ha detto Botti ai pm nel suo verbale del 31 maggio scorso, «nel 2000 ricordo che Daccò mi fece un discorso molto chiaro dicendomi che ero troppo autonomo». Sono passati ormai 12 anni, ma all'ex manager, quel colloquio è rimasto ben impresso.
ILLUSTRAZIONE SARX PIRELLONE CARCERE«Daccò - insiste nella sua ricostruzione Botti - mi disse chiaramente che avrei dovuto favorire imprenditori ovvero enti ospedalieri, istituzioni private che mi fossero state segnalate da "loro". Intendo dire che Daccò si presentava come referente di Formigoni, Abelli e Borsani (entrambi ex assessori regionali alla Sanità, ndr), se pure senza citarli ma in forza del rapporto stretto che aveva (Daccò, ndr) con loro e che a me era ben noto».
IL PIRELLONEIl faccendiere, il «facilitatore » di pratiche in Regione, sembra aver avuto, scorrendo questa versione agli atti del processo, più di un'influenza sulla politica regionale. «Mi ricordo che manifestai a Daccò il mio dissenso quando in quegli anni mi chiese di aumentare il valore del Drg (il sistema di retribuzioni delle prestazioni di strutture private convenzionate, ndr), per le attività di ricovero in riabilitazione».
Secondo questa ricostruzione, inoltre, Daccò avrebbe parlato sapendo «che il presidente Formigoni era d'accordo e che voleva questo tipo di provvedimento». Stando alla versione dell'ex manager della Sanità, solo dopo aver dimostrato che non c'erano i margini economici per aumentare i rimborsi alle strutture private, il progetto abortì. Ma, secondo Botti, «Daccò si incazzò moltissimo, venne da me e mi disse che mi ero mostrato irriconoscente nei suoi confronti in quanto egli mi aveva fatto nominare direttore generale e io mi ero permesso di rifiutare di dare corso a una sua richiesta».
formicartaUna presenza pressante, quasi quotidiana quella del faccendiere nei piani alti del Pirellone. Digerita dai manager, sempre secondo questa ricostruzione, solo perché se Daccò «non avesse avuto quel rapporto diretto con il presidente non lo avremmo assolutamente assecondato e supportato».
CUPOLA DELL'OSPEDALE SAN RAFFAELEPur non avendo alcuna conoscenza o preparazione in campo sanitario, il facilitatore Daccò per anni ha girato liberamente negli uffici della Regione, perorando pratiche, chiedendo di accelerare rimborsi, suggerendo addirittura riforme. Esercitava, sono ancora parole di Botti, «un metodo di pressioni sulle istituzioni pubbliche, fondate non su competenze tecniche o su regole, ma su rapporti e relazioni d'affari di tipo personale».