Filippo Ceccarelli per repubblica.it - Estratti
maria rosaria boccia sangiuliano
La Storia, maiuscola o minuscola che sia, è piena di casi Sangiuliano-Boccia; anche per questo la prima doverosa premessa è che siamo tutti una manica di peccatori, alcuni anche molto teneri, ma irrimediabilmente stupidotti. In questo senso l’occhio languido e compiaciuto del ministro della Cultura negli innumerevoli selfie parla certamente da solo, ma qualcosina dice pure a ciascuno di noi — e chi è senza peccato scagli per primo la pietra eccetera (Gv, 8,1-11).
La seconda premessa, di mani avanti, è che questo scandalo si svolge sotto il cielo del piagnisteo, per cui non solo è arduo stabilire chi ne è la vittima, ma le nuove sensibilità maturate in epoca di crisi vetero-patriarcale impongono nuovi parametri e nuovi racconti, per cui se Genny (Delon) era il maschio potente, con Instagram questo potere Maria Rosaria ha devastato in meno di una settimana, e amen.
Senza partire dalla Bibbia o dai poemi omerici in passato tutto era comunque molto più facile. «Tre cose un uomo politico deve evitare per campare tranquillo — era una delle battute preferite di Ronald Reagan, classe 1911: — Le donne, le donne e poi ancora le donne». Seguiva risata, con relativa esibizione di dentiera. E insomma, pure in Italia quanto avveniva era sempre più o meno colpa delle donne.
Perfino Claretta Petacci, che pure pagò un prezzo terribile, venne indicata come una causa della rovina del fascismo: «Fa più male lei al Duce che dieci battaglie perse» sentenziava il capo dell’Ovra Guido Leto. La faccenda oltretutto andava ben al di là dell’ideologia. Alla Costituente Secchia e D’Onofrio, l’ala dura del Pci, erano convinti che Nilde Iotti, la giovane amante di Togliatti, fosse una spia del Vaticano e dopo aver a lungo negato una casa a quella coppia irregolare, gliela riempirono di microfoni.
Adesso è da emicrania far combaciare questi ricordi con le immagini e le atmosfere, i tramonti, la fuffa social e i dolci al cucchiaio dell’idillio che sta facendo franare il governo Meloni, “orgoglio italiano”. Eppure, anche sulla successione di Alcide De Gasperi volteggiò l’inesorabile “femmina fatale”, con tanto di soprannome, “il Cigno nero”, al secolo Annamaria Moneta Caglio, le cui rivelazioni diedero la stura all’affare Montesi.
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Qui di seguito, giusto tre esempi al volo di preteso rimbambimento, com’è ovvio tutti da sostanziare. Dunque, Craxi che mandò a picco il glorioso Psi per via del turbolento rapporto con Ania Pieroni; Fini che si giocò la carriera cadendo fra le braccia di un’aspirante soubrette (e della sua vorace famigliona); e un importante ex ministro dell’Interno, sciarada caritatevole, che combinò diverse scemenze per via di una vistosa signora fattasi fotografare accucciata su una Ferrari.
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elisabetta tulliani gianfranco fini
A questo punto la domanda è inevitabile: ma Berlusconi? E la risposta, a costo di spedire con forza il pallone in tribuna Vip, è: che nostalgia! Rispetto all’annaspante pochade sangiulianesca il Cavaliere si staglia come un imperatore, un gigante, un idolo dell’avventura, del desiderio e della follia. Il Cavaliere non si accontentava di una sola passione e come il Faust di Goethe, con uno dei suoi fantastici sorrisi, avrebbe potuto spiegare: «Donne, dico: perché, una volta per tutte,/ sia chiaro, io le belle le penso al plurale»; con il che ecco che l’eccesso quasi ne riscatta il ricordo.
Certo, guai ne ha avuti, anzi se li è andati proprio a cercare, col risultato che senza tutte quelle amichette forse oggi sarebbe ancora tra noi, magari al Quirinale. Ma pure da lassù c’è da credere che in questi giorni si sarebbe divertito: a proposito, «conoscete la storiella di Sangiuliano e della Boccia?».
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