Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera
Un sistema ben congegnato per aggirare i controlli e soprattutto eludere le indicazioni della Vigilanza. Le mail, i solleciti e i dossier trasmessi da Palazzo Koch alla commissione parlamentare svelano in che modo i responsabili di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza hanno effettuato operazioni irregolari nonostante avessero ricevuto disposizioni diverse. E la conferma dell' esistenza di una «rete di protezione» che avrebbe tutelato i vertici di PopVicenza arriva dal procuratore titolare delle indagini che in audizione pubblica conferma: «Tre funzionari di Bankitalia sono andati a lavorare per l' istituto di credito».
GIANNI ZONIN E VINCENZO CONSOLI
Il 6 maggio 2016 Bankitalia invia una lettera al pubblico ministero di Roma che indaga su Veneto Banca. E ricostruisce quanto è stato fatto per verificare l' operato di chi doveva risanare la situazione patrimoniale. «Con nota del 30 settembre 2015 l' organo di controllo ha trasmesso gli esiti degli approfondimenti condotti dalla Direzione internal audit su alcune operazioni di movimentazione di azioni di Veneto Banca da cui è emersa la sussistenza di elementi di irregolarità. Con successiva comunicazione del 13 ottobre 2015 il collegio sindacale ha fatto tenere gli ulteriori approfondimenti svolti dalla Funzione compliance , relativi a tutti i trasferimenti effettuati nel 2015 aventi a oggetto titoli della banca. Tali verifiche, nel confermare la presenza di un' operatività anomala hanno evidenziato l' esigenza di attivare la procedura di segnalazione di operazione sospetta in relazione a 69 fattispecie realizzatesi nel corso dell' anno».
Quanto riferito dimostra in maniera evidente che la strada tracciata da Bankitalia non era stata percorsa. Anzi. Nella stessa mail è proprio la Vigilanza a informare i magistrati che «il 16 dicembre 2015 Veneto Banca - invitata a trasmettere le proprie valutazioni circa le criticità segnalate - ha reso noto di aver avviato ulteriori approfondimenti sulla vicenda».
Già due anni prima, il 6 novembre 2013, il governatore Ignazio Visco aveva scritto ai vertici della Banca evidenziando «il progressivo scadimento della complessiva situazione tecnica, riconducibile sia alle rilevanti disfunzioni negli assetti di governo e nel sistema di controlli interni, sia nell' elevata esposizione ai rischi creditizi» e aveva evidenziato «l' eccessiva concentrazione di potere in capo all' amministratore delegato, a cui non ha fatto da contrappeso, anche in forza del solido rapporto con il presidente, il pletorico consiglio, connotato da una dialettica interna modesta, dall' inconsistenza del ruolo degli indipendenti della diffusa situazione di conflitto di interessi».
Un richiamo che evidentemente non ha sortito alcun effetto visto che con il trascorrere del tempo la situazione si è ulteriormente aggravata. Un disastro che accomuna l' istituto allora guidato da Vincenzo Consoli alla Popolare di Vicenza governata invece da Gianni Zonin.
Di fronte alla commissione parlamentare il procuratore Antonino Cappelleri titolare delle indagini ha rivelato di «non avere più strumenti per sequestrare i beni di Zonin», e ha spiegato che «gli ex vertici avevano creato un ristretto gruppo di comando dal quale stavano fuori gli altri consiglieri e sindaci e hanno fuorviato e nascosto i documenti agli ispettori di Banca d' Italia». Poi ha confermato che «tre funzionari di Palazzo Koch - Gianandrea Falchi, Luigi Amore e Mario Sommella - e altri dipendenti pubblici sono andati a lavorare presso PopVicenza». Tra loro, secondo alcuni parlamentari, anche «l' ex capo della segreteria di Mario Draghi».