Luca Telese per la Verità
RENZI INSTAGRAM renzi palazzo chigi
Il renzismo melodrammatico come strategia per tornare al potere. Bisogna partire da quel filmino, nella notte, e passarlo alla moviola: bisogna partire dai dettagli, dagli sguardi, dalle pause studiate e teatrali. E soprattutto dai silenzi. Bisogna tornare alla cosiddetta conferenza stampa «di accettazione della sconfitta» di Matteo Renzi, che non era il proclama solenne di un' autentica resa, ma la mimetizzazione abile e drammaturgica di un arrocco scacchistico.
Il premier deve lasciare le stanze del potere, non vuole mollare la presa, e in quel messaggio ci sono tutti gli indizi per capirlo, le tracce che spiegano il piano «B» per risorgere: insediare a Palazzo Chigi un tecnico, un uomo controllabile, rosolarlo a fuoco lento dal Nazareno, ricostruire la propria immagine in questa guerra di logoramento e poi raccontare al Paese che serve il ritorno di un uomo forte, un Matteo 3.0.
Nei giorni scorsi, per drammatizzare il clima, le fonti renziane avevano fatto filtrare nei retroscena informati. L' ipotesi di una doppia dimissione, dal governo e dal partito. Nella notte della catastrofe il partito è tornato il porto amico a cui fare ritorno, il fortino da cui ripartire. È per questo che la conferenza stampa dell' altroieri, mancava di solennità e di magia, di tutti gli accessori, cioè, che anche nella sconfitta rendono tributo al carisma.
Renzi si commuoveva due volte, salutava l' entrata in scena della first lady Agnese, presenza statuaria è muta, ma allo stesso tempo non rinunciava alle battutine (auto)ironiche sulle poltrone, al sorriso. Il che non è un male, ma un problema di format: o è dramma o è commedia, entrambe le cose non si possono dare.
Non solo non era - come è intuibile - il discorso di Charles De Gaulle dopo Dunkerque e la disfatta del 1940. Ma in quelle parole non c' era nemmeno l' epicità simpatica e spavalda di Pietro Taricone nel Grande Fratello della memorabile edizione 2000. Renzi in questo momento ha bisogno di due cose: di ritrarsi e di rigenerarsi. Ma deve evitare «il paradosso Lambertow», quello in cui è incorso Silvio Berlusconi, quando nel 1995 diede il via libera volontariamente all' investitura dell' anonimo ex funzionario di Banca Italia (Lamberto Dini, ndr), e se lo ritrovò come capo di un partito -meteora del 4%, Rinnovamento Italiano (determinante e schierato contro di lui alle elezioni della prima vittoria di Prodi).
Ed ecco così, che nel vorticare delle voci si forma la rosa dei predestinati. Ipotesi 1: governo istituzionale Grasso. Agli occhi di Renzi questo nome ha il pregio di portare a Palazzo Chigi un uomo che non ha un radicamento di partito. Ha lo svantaggio, indubbio, di consacrare un pericoloso asse siciliano fra il Quirinale e la Presidenza del consiglio. Grasso è un uomo scaltro, capace di raccogliere consensi popolari, abituato a girare i convegni di Magistratura democratica, ma anche le scuole, ha scritto libri di successo, ho una moglie intelligente, conosce gli apparati dello Stato.
Sa navigare in acque agitate, nei palazzi dei corvi e dei veleni, e conta nel suo araldo la grandezza di una frequentazione con Falcone Borsellino. Molto facile pensare di insidiarlo come un re travicello, non altrettanto facile sbullonarlo, dopo avergli dato un anno di tempo per radicarsi. I renziani in queste ore lo sottovalutano.
sergio mattarella dario franceschini
Ipotesi 2: governo politico Franceschini. Niente di peggio potrebbe capitare a Renzi: Dario è un fanciullo mannaro che affonda le sue radici nella storia antica della Democrazia Cristiana, che ha sfidato Marini, si è accordato con lui, e poi lo ha anche sepolto. Che ha servito Veltroni, si è accordato con lui, e poi lo ha sepolto. Che ha sfidato Bersani, si accordato con lui, e poi lo ha abbandonato.
Franceschini è iper politicista vecchia scuola come Marini, scrive romanzi come Veltroni, è emiliano -romagnolo come Bersani, è dotato di una corrente propria, come Renzi, è stato già leader e non disdegnerebbe di diventare premier. Dargli in mano la poltrona di comando di Palazzo Chigi vorrebbe dire dare una possibilità di vincente al Pd, ma anche la certezza all' uomo di Rignano di perdere il partito che oggi ancora può sperare di controllare per sempre.
Ipotesi 3: governo tecnico Padoan. Forse quella che preferisce di più: il super ministro dell' economia è un uomo affabile, apprezzato dai mercati, di grande prestigio internazionale. È simpatico, coltiva passioni pop come le passeggiate in montagna e il tifo sfegatato per la Roma, è già entrato nel mainstream di una letale imitazione crozziana.
lorenzo bini smaghi con veronica de romanis nozze carrai
Purtroppo per lui tende anche ad assomigliare alle parodie alate del re della satira politica, se è vero che i monologhi di Maurizio Crozza sul denaro contante, le gag del «quadro europeo», i toni da studente della politica interrogato e impreparato rendono talvolta indistinguibile l' originale e la copia. Padoan non conosce l' ordito intricato delle correnti democratiche, non ha un luogotenente nel partito, ma ha grande preparazione e un carattere granitico. Potrebbe essere una sorpresa, una volta toccato dalla grazia di Stato.
In campo ci sono altri candidati. Bini Smaghi, graditissimo al premier è stato bruciato dal risultato troppo basso. La Boschi e Del Rio, oggi a lui associati, sono bruciati dalle promesse pre referendarie. Matteo Orfini sarebbe un nemico. Roberta Pinotti, ministra dinamica con fama da secchiona e alleanze trasversalissime, potrebbe unire le doti del mandato para -istituzionale e di quello politico. Immaginate però che disastro, per Renzi, essere rottamato e «obsoletizzato» dall' unica innovazione che a Palazzo Chigi manca: una donna del Pd. Per questo il rompicapo non socchiude.
Per questo la direzione slitta, per questo Mattarella tace e tra le correnti del Pd ci si annusa e si tratta. Se sbaglia una sola mossa il rottamatore viene rottamato. Dal cilindro di questo gioco di prestigio, c' è l' ultima voce che serpeggia se il partito non dovesse seguire la sua linea: abbandonare il Pd come un bad company, e fondare un nuovo partito della Nazione, fuori dal Nazareno per recuperare l' appeal perduto, e trovare il modo di rimettere insieme quel 40% che i renziani considerano come una soglia di consenso ancora possibile anche alle politiche. È un sogno, forse. Ma il melodramma renziano, oggi è anche telenovela.