1 - IAN BREMMER: «UNA DECISIONE TARDIVA, CHE PERÒ SALVA LA SUA EREDITÀ PIÙ EFFICACE DI OBAMA»
Estratto dell’articolo di Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
«Con la decisione di ritirarsi, anche se tardiva, Joe Biden mette almeno parzialmente in salvo l’eredità politica della sua presidenza che è stata di grande rilievo all’interno, mentre a livello internazionale i risultati sono stati molto meno positivi». […] il politologo Ian Bremmer […] commenta la lettera di Biden arrivati agli americani via social media.
Alla loro convention i repubblicani l’hanno dipinto come uno dei peggiori presidenti della storia. Se riconquisteranno la Casa Bianca e il Congresso, cosa resterà della sua legacy? Donald Trump vuole cancellare quanto fatto da Biden.
«Trump non può cancellare la buona gestione della pandemia, l’efficacia della campagna vaccinale […] E poi la positiva legislazione bipartisan che ha consentito di evitare la recessione e di rilanciare l’economia prima e meglio di altre parti del mondo. Nella gestione della crisi, ma anche, più in generale, con le riforme economiche, Biden è stato molto più efficace anche di Obama che era una rockstar mentre Joe non ha mai avuto carisma.
Eppure è riuscito a far varare dal Congresso piani importanti per il futuro dell’America: dall’“Inflation Reduction Act” con le misure per l’ambiente e la transizione energetica al piano per le infrastrutture vitali del Paese, al “Chips Act” che dà ulteriore impulso alla ricerca nelle tecnologie più avanzate e allo sviluppo di produzioni strategiche in territorio americano. Non vedo come Trump possa disfare tutto questo, né quale convenienza ne avrebbe».
Risultati positivi che gli americani non sembrano avergli mai riconosciuto: nei sondaggi è sempre stato un presidente impopolare, anche prima che emergessero in modo evidente i problemi legati alla sua senilità.
«È vero, ma il ritiro è legato soltanto a questo peggioramento abbastanza improvviso delle sue condizioni di salute. Biden è sempre stato, anche da senatore, un personaggio internazionale, un ponte tra l’America e l’Europa […] Mi ha fatto stringere il cuore […] durante il vertice della Nato a Washington, vedere diversi leader europei emotivamente provati […] nell’incontrare un vecchio amico divenuto […] più fragile, lento. Lento nei movimenti e anche mentalmente. Fino al punto di non riconoscere alcuni di loro […]».
E il Biden gestore del ruolo degli Stati Uniti nel mondo?
«Lì le cose non sono andate altrettanto bene. […] Biden è stato un collante: un fattore di stabilità e di tutela delle alleanze dell’America tanto sul fronte dell’Atlantico quanto su quello del Pacifico. Come senatore e come vice di Obama conosceva e rassicurava tutti. […] gli europei avevano un rapporto pieno di fiducia reciproca solo con due americani, Joe Biden e il repubblicano John McCain. Ma il bilancio internazionale dei suoi tre anni e mezzo di presidenza non è altrettanto positivo: c’è la macchia nera del ritiro dall’Afghanistan nell’estate del 2021.
È vero che era necessario porre termine alla guerra più lunga della storia americana e che la trattativa con i talebani era stata già male impostata da Trump nell’ultimo anno della sua presidenza, ma le modalità di quell’uscita di scena dell’America sono state disastrose. E, poi, le due guerre attuali. Certo, Biden ha avuto il merito di tenere insieme l’Occidente nella difesa dell’Ucraina invasa dalla Russia rafforzando e ampliando la Nato, ma è anche vero che non è riuscito a mostrare una vera capacità di deterrenza nei confronti di Putin: la strategia delle sanzioni contro la Russia si è rivelata poco efficace e dopo più di due anni di guerra l’Ucraina ha perso terreno. E anche in Medio Oriente, l’America si è in un certo senso isolata in un appoggio incondizionato a Israele senza coordinarsi con gli europei né con gli alleati nel mondo arabo. Salvo, poi, dover prendere le distanze da un Netanyahu incontrollabile e spregiudicato». […]
2 - BREMMER “PER I DEM C’È LA POSSIBILITÀ DI VEDERE LA VITTORIA”
Estratto dell’articolo di Anna Lombardi per “la Repubblica”
«Ammiro la scelta di Joe Biden. Ha messo l’interesse del paese e del suo partito davanti alle sue ambizioni personali e alla sua storia politica. Una scelta tormentata e difficile […]». Ian Bremmer […]
Joe Biden ha infine ceduto alle pressioni e agli appelli arrivati da più parti...
«Ha appena messo nelle mani dei democratici una concreta possibilità di vittoria. La sua uscita di scena dà uno scossone positivo al partito […] Così facendo galvanizza la base, rimette in moto l’entusiasmo e l’attivismo porta a porta […]».
Quanto peserà il suo endorsement a Kamala Harris? Dobbiamo già considerarla il candidato ufficiale dei democratici o sul suo nome ci saranno obiezioni all’interno del partito?
«L’endorsement ad Harris era scontato: hanno lavorato insieme, ed è un evidente segno di continuità e di difesa della sua legacy. A questo punto lei è decisamente la favorita, […] anche per dare un segnale di democrazia e dialettica interna, probabilmente qualcuno la sfiderà e ci sarà una qualche forma di mini-primaria. […]».
Donald Trump se lo aspettava?
«Decisamente sì, da settimane la sua campagna attacca Kamala Harris che prima aveva ignorato. È ancora sicuro di vincere e a oggi i sondaggi gli danno ragione. Ma il cambio di candidato è comunque per lui una cattiva notizia […] Adesso sono i democratici ad avere l’attenzione di elettori e media: gli hanno sfilato i titoloni sulle prime pagine dei giornali, proprio quando lui era all’apice della visibilità. Una bella botta mediatica».
E ora come reagirà?
«Com’è suo stile, attaccando a tutto tondo. E anche i suoi faranno di tutto. Lo speaker del partito repubblicano Mike Johnson lo ha già annunciato, daranno battaglia legale, contestando il cambio di candidato in corsa. Non possono far molto, il regolamento interno al partito democratico permette ai delegati di cambiare cavallo in base a una regola di coscienza che prevede, fra l’altro, la possibile malattia di un candidato. Ma certo presumibilmente questo li spingerà a parlare nuovamente di elezioni rubate».
Chi - o cosa - ha dato la spinta decisiva a Joe Biden? Fino a ieri sembrava non disposto a mollare...
«[…] l’ex Speaker della Camera Nancy Pelosi […] e poi il leader della maggioranza al Senato Chuck Schumer, quello della minoranza alla Camera Hakeem Jeffries e gli altri big del partito. Senza il loro sostegno, non avrebbe mai potuto vincere: ieri persino il moderato Joe Manchin gli ha voltato le spalle. […]».
Kamala Harris può farcela?
«[…] piace ai donatori. E ha il sostegno delle donne: se lo è guadagnato girando il Paese parlando della battaglia per il diritto d’aborto. […]».
Chi potrebbe scegliere come numero due?
«Sospetto che al sua fianco vedremo un uomo bianco, moderato, forte negli Stati considerati a rischio. Insomma, una figura capace di opporsi a J.D. Vance. Azzarderei i nomi del governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, vincitore in uno Stato chiave che porta ben diciannove voti elettorali, il numero più alto fra gli Stati a rischio. Oppure il senatore dell’Arizona Mark Kelly, ex astronauta molto noto, la cui moglie, l’ex deputata Gabby Giffords, subì un grave attentato durante un comizio elettorale ed ora è una delle più importanti attiviste anti-armi d’America».
joe biden con kamala harris festa del 4 luglio