Stefano Stefanini per “la Stampa” - Estratti
In ospedale a Madrid, colpito in faccia da una pistolettata, Alejo Vidal-Quadras versa in gravissime condizioni. Pedro Sánchez aveva chiuso l'accordo col leader indipendentista catalano Carles Puigdemont.
L'intesa gli spiana la permanenza al governo malgrado la sconfitta elettorale di luglio. Per ottenere la fiducia gli occorrevano i voti di tutti i partiti indipendentisti.
Per avere a bordo Junts, il partito di Puigdemont, il prezzo era una controversa amnistia. Lo paga. Ma crolla la giustificazione: anziché gettare le basi per una riconciliazione nazionale, l'accordo rischia di aprire una stagione di tensioni e instabilità senza precedenti nella Spagna democratica.
(...) Sánchez sperimenta la nuova maggioranza sulla pelle dell'unità nazionale. Chi scherza col fuoco si scotta.
RE FELIPE VI CON PEDRO SANCHEZ
Acrobata politico Pedro Sánchez è un acrobata politico. Governa democraticamente la Spagna da sei anni senza avere mai avuto la maggioranza parlamentare. In Europa si è guadagnato credibilità e autorevolezza anche al di fuori della famiglia politica socialista – a Bruxelles è considerato uno dei (pochi) statisti su piazza. Ora però sta compiendo un doppio salto mortale senza rete. Al nuovo governo di coalizione con l'estrema sinistra di Sumar, serve l'appoggio esterno non solo dei due partiti baschi, il partito nazionale e il più radicale Bildu, erede politico di Eta, e di Izquierda catalano – che aveva già nella precedente coalizione - ma anche di Junts.
Dall'esilio parlamentare europeo di Bruxelles, Puigdemont gli ha strappato un prezzo elevato: amnistia per se stesso e tutti gli incriminati di sedizione. Sorvolando sulla precedente contrarietà di Sánchez – ai politici è consentito cambiare idea – le remore sono due.
pedro sanchez elezioni in spagna 2023
L'una è la costituzionalità o meno; si è già aperto il dibattito fra giuristi. Più grave la seconda: sarebbe un'amnistia senza pentimento degli amnistiati ai quali nulla impedirebbe di rimettersi subito all'opera per l'obiettivo che gli è valso la condanna per sedizione. E non basta. Puigdemont chiede anche un abbuono del debito catalano verso lo Stato spagnolo per un totale di 86 milioni di euro e un nuovo referendum indipendentista. Vengono rinviati «a un meccanismo di consultazione mediato da un soggetto internazionale» (chi?).
Fiducia blindata Salvo improbabili ripensamenti – ci sono perplessità nel suo stesso partito - Pedro Sánchez può incassare un'altra legislatura al potere. Una volta ottenuta la fiducia non la perderà a meno che non si formi preventivamente una maggioranza alternativa («sfiducia costruttiva»). Ma rischia di avventurarsi su un sentiero di attaccamento al potere condiviso con tanti altri leader politici, in un momento in cui il tessuto nazionale spagnolo è messo a dura prova. Il ruolo di Felipe VI Felipe VI ha dato l'incarico a Sánchez senza consultare i partiti che l'appoggerebbero. Gli indipendentisti rifiutano di incontrare il simbolo dell'unità nazionale che rigettano.
Il Re non può esplorare alternative a Sánchez quand'anche l'incarico rischi di condurre a risultati contrari all'interesse del Paese. In Italia, i proponenti della riforma costituzionale farebbero bene a riflettere sui vantaggi di avere un Presidente della Repubblica che ha la latitudine di «consultazioni» con tutti per cercare maggioranze parlamentari, larghe o strette; talvolta, tecniche – o, un tempo, «balneari» – che hanno servito egregiamente l'Italia in momenti difficili. Per poi tornare democraticamente alle urne. Che, nelle presenti circostanze, sarebbero forse la miglior soluzione per la Spagna.
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