Alberto Simoni per ''la Stampa''
Lo dicono a mezza bocca a Varsavia, senza sbilanciarsi troppo ma mostrando un cauto ottimismo. Il veto al budget europeo resta, e forse resterà anche quando i leader Ue si vedranno a metà dicembre. Sebbene tre settimane siano poche per smontare l'impalcatura delle condizionalità sul rispetto dello stato di diritto imposte dall'Europarlamento per accedere ai fondi, la speranza è che Angela Merkel alla fine riesca a far quadrare il cerchio e a mettere d'accordo i Ventisette.
Negli ambienti diplomatici polacchi si affilano gli artigli: «Non possiamo accettare una nuova procedura, c'è già in atto l'Articolo sette con cui la Ue vuole giudicare il rispetto degli standard democratici nel nostro Paese. Fare una nuova legislazione che vincoli l'erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto è troppo». Su questo la Polonia non farà marcia indietro. Non può e non solo per una questione di principio. Un sondaggio recente della "Gazetaprawna" sostiene che oltre la metà dei polacchi sostiene la linea del governo sul veto.
Il più importante quotidiano liberal, la "Gazeta Wyborcza", ne dubita l'attendibilità, smascherando in realtà una situazione di conflitto in seno allo stesso governo a trazione nazionalista. Dove, spiega una fonte interna, è in corso un braccio di ferro fra il premier Mateusz Morawiecki - che si atteggia a globalista - e il ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, leader dell'ultraconservatore «Solidarna Polska». È il crescente ruolo di quest' ultimo, ago della bilancia della compagine governativa, ad aver portato la Polonia a sposare la linea del veto.
VIKTOR ORBAN MATEUSZ MORAWIECKI
«Ha detto pubblicamente o veto o morte», racconta un veterano della politica polacca. D'altronde la sua intransigenza nei confronti dell'Europa e gli scivoloni sui diritti civili e umani sono diventati un classico. Tempo fa è stato Ziobro a obbligare gli eurodeputati del PiS (il partito di maggioranza al governo) a opporsi a una risoluzione a Strasburgo di condanna all'Uganda per la pena di morte agli omosessuali. Dietro la scelta polacca di mettere il veto al budget Ue c'è un ragionamento chiaro: il Consiglio europeo è debole e diviso - argomentano i diplomatici di Varsavia - mentre l'Europarlamento è forte. Ma alla fine Merkel che ha in mano il pallino farà di tutto per non lasciarci fuori, poiché l'unanimità serve anche a lei».
Il nodo è quale sarà l'offerta irrinunciabile a Varsavia e al sodale ungherese Viktor Orban, partner nel blocco Visegrad, per far cadere il veto, licenziare il Recovery Fund e incassare rispettivamente 62 e 20 miliardi fra aiuti e prestiti. «Ad ora - dice un negoziatore - non ci sono vie di uscita, l'unica condizione per uscire dallo stallo è togliere all'Europarlamento il bilancino delle regole». Che qui considerano di parte, politicizzate e per nulla aderenti ai Trattati europei. Punto di vista condiviso da Orban. Che ancora nei giorni scorsi ribadiva da una parte la necessità di fare presto per sbloccare i fondi e dall'altra definiva «lo stato di diritto una nuova arma politica e ideologica».
Legare - è la tesi che Budapest sostiene - gli aiuti economici al dibattito politico, è un grave errore che mina «l'unità dell'Europa». Quest' ultimo, la disintegrazione della Ue, è lo stesso timore di Macron, il più fiero rivale del leader magiaro.