Giovanna Vitale per “la Repubblica”
Una ferita che brucia, e non solo alle donne del Pd. Ascoltando la lista dei ministri, è stato Zingaretti per primo a rendersi conto che a sinistra erano tutti maschi. Lasciato al buio da Draghi, il segretario dem sperava che - al netto delle manovre dei capicorrente - la sua richiesta di rispettare «il valore della differenza di genere» avanzata in Direzione, avrebbe trovato orecchie più attente.
E invece lo spettacolo offerto al Paese di una destra che premia le donne (due su tre Fi, una su tre la Lega) e di un centrosinistra che le mortifica (quattro uomini su quattro, Leu inclusa) è stato devastante. Una valanga rosa s' è staccata dal Nazareno, obbligando Zingaretti alla contromossa: se sui sottosegretari il premier darà libertà ai partiti, lui indicherà solo donne. E pazienza per i delusi: citofonassero ai capibastone, nel frattempo diventati ministri.
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«Non credo accadrà, ci sono troppi aspiranti. Se però lo facesse, sarebbe un bel segnale: la prova che Nicola vuol finalmente far saltare gli equilibri di corrente», reagisce Lia Quartapelle, una delle deputate più infuriate. «Il nostro statuto prevede metà delle cariche per le donne », spiega. «Se ci fossimo comportati come Forza Italia oggi avremmo un governo con dieci ministre e tredici ministri, in linea con la rappresentanza di genere a livello europeo ». Perciò «Berlusconi è stato più bravo di Zingaretti».
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Concorda Laura Boldrini: «Occorre scardinare l' assetto delle correnti che schiaccia il protagonismo femminile e impedisce il rinnovamento». Ma per Marianna Madia la questione è un' altra: «Le donne del Pd hanno un problema di leadership, che non si ottiene per concessione, ma si esercita con battaglie sulla linea politica. Se la risposta sarà la spartizione di qualche posto da sottosegretario resteremo al punto di partenza. Forse peggio », taglia corto l' ex ministra, criticando la gestione "machista" della crisi.
È questo il nodo da sciogliere: le donne dem che vanno avanti solo per cooptazione, sperando di arrivare prima e meglio. «Si sono illuse che funzionasse essere "in quota" a capicorrente o inserite per prossimità, anziché per competenza o consenso », annuisce Debora Serracchiani. E guarda adesso: «Per la prima volta il Pd al governo non ha una rappresentanza femminile». E la colpa «non è semplicemente degli uomini, anzi», spiega Anna Ascani: «Spesso ci siamo relegate in correnti a guida maschile per comodità. Abbiamo lasciato che fossero gli uomini a "indicarci" in ruoli di responsabilità secondari.
Abbiamo schernito chi di noi provava ad emanciparsi. Forse quanto è successo ci permetterà di cambiare passo». Brutalizza Monica Nardi, ex portavoce di Enrico Letta, segnalando «la corsa al tweet sdegnato delle donne pd, tutte inquadrate in correnti rette da uomini, cooptate senza un voto che è uno.
Fatela la politica, scalateli i partiti, prendeteli i voti». Eccolo il punto: è arrivato il momento di esporsi, di lanciare la sfida alla segreteria, quando sarà. Prendendosi nel frattempo il posto di vice-leader che Andrea Orlando dovrà lasciare e poi uno dei due capigruppo in Parlamento.
La controffensiva verrà lanciata già domani, alla Conferenza delle democratiche convocata «per decidere come agire». Perché «la misura è colma», sbotta la presidente Valentina Cuppi, scagionando però Zingaretti: «Il più scontento è lui, la scelta dei ministri l' ha fatta Draghi». Che ha pure suscitato «la profonda delusione » della rete "Donne per la salvezza". Mentre nel Pd resta l' amarezza per un' esclusione che, segnala Orfini, «non è un problema solo delle donne, ma di tutto il partito».
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