Mattia Feltri per “La Stampa”
Domenica, Giuseppe Conte (no alle armi usate per l'offensiva ucraina, 27 aprile; no all'invio in Ucraina di armi letali, 2 aprile; dopo il terzo decreto basta armi all'Ucraina, 12 maggio; serve una nuova strategia, non mandare nuove armi, 13 maggio; basta, sull'invio delle armi l'Italia ha già dato, 17 maggio;
basta inviare armi, adesso è il momento del dialogo, 21 maggio; non servono nuove armi, è il momento della pace, 26 maggio; inviando altre armi non avremo la pace, 1 agosto; noi pensiamo alla pace, gli altri alle armi, 21 agosto) ha detto di essere molto contento della vincente controffensiva ucraina, infatti «noi abbiamo sempre appoggiato gli aiuti militari».
Ieri, Matteo Salvini (mandare più armi non avvicina la pace, 31 marzo; continuando a fornire armi non ne usciamo, 28 aprile; darmi più armi è una risposta debole, 3 maggio; più armi, più morti, 4 maggio; ulteriori invii di armi non sono la soluzione, 16 maggio;
GIUSEPPE CONTE MATTEO SALVINI MEME
dopo tre mesi di guerra conto sullo stop all'invio delle armi, 18 maggio; non ci sto a inviare altre armi, 19 maggio; l'invio delle armi è un errore madornale, 24 maggio; la priorità adesso è fermare l'invio delle armi, 26 maggio; noi parliamo di pace, la sinistra parla di armi, 31 maggio; più armi mandiamo più è difficile il dialogo, 7 giugno;
in Parlamento si parli di pace, non di armi, 10 giugno; le armi ad oltranza non sono la soluzione, 23 giugno) ha detto che a destra «abbiamo sempre sostenuto militarmente l'Ucraina e continueremo a farlo».
In politica, dire una cosa e pensarne un'altra può essere una necessità. Ma il talento contemporaneo è dire una cosa che vale l'altra e non pensarne nessuna.
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