Claudio Antonelli per “la Verità”
«Nei prossimi giorni completerò un lavoro che abbiamo già iniziato con il comitato guidato da Vittorio Colao. Avremo gli stati generali dell' economia a Palazzo Chigi con tutte le forze economiche e sociali del Paese per poter pubblicizzare e condividere con tutti questo nostro Recovery plan», ha detto ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte a Ey digital talk «Italia Riparte».
«Ricordo che le somme che arriveranno dal Recovery fund non sono un tesoretto ma una risorsa per il futuro del Paese», ha aggiunto Conte sottolineando che «sono convinto che tutte le forze di maggioranza, ma anche quelle di opposizione, potranno condividere questi obiettivi, che non hanno un colore politico. Se decidiamo di accelerare i tempi, credo che potremo trovare una sinergia». In questa lunga frase c' è un po' tutta la fase 3 del premier.
La Germania ha appena varato un piano di rilancio. Si basa su tre pilastri. Il primo è il taglio delle tasse, il secondo è la liquidità in tasca ai cittadini e il terzo è discussione tra i partiti e il relativo approdo in Parlamento. Il piano choc di Conte invece nasce al di fuori del Parlamento e al di fuori della filiera dei partiti, che durante il lockdown sono finite in quarantena assieme agli elettori. Il Recovery plan nostrano è stato innanzitutto studiato da una task force non eletta, guidata da Colao, e mediata con le richieste informalmente già avanzate dall' Europa al governo.
I dieci punti annunciati da Conte in diretta tv mercoledì sera sono un mix di desideri irrealizzabili, incubi e qualche buona idea mirata alle infrastrutture. Una delle idee della task force (anticipata a inizio settimana da Mf-Dow Jones) prevede la creazione di un fondo sovrano gestito da Cdp, in cui dovranno confluire immobili pubblici, partecipazioni azionarie e pure parte dell' oro di Bankitalia.
Chi deciderà l' allocazione delle risorse e chi comanderà all' interno del piano di rilancio? La questione è tutta qui. Se la Germania si muove in trasparenza e ciascuno dei partiti ci mette la faccia, il rischio nostrano è che il piano di Conte per l' Italia diventi il piano per il rilancio di Conte e del suo governo.
Tornando ad analizzare la frase pronunciata ieri dal premier, dobbiamo per prima cosa analizzare il luogo virtuale in cui è stata detta. A fare gli onori di casa c' era il neo amministratore delegato di Ey, Massimo Antonelli, ma la relazione più importante e che ha tirato le fila delle presenze (oltre a Conte c' erano anche il ministro Roberto Gualtieri e Fabrizio Palermo) è uscita dalla bocca da Massimo D' Alema. L' ex leader diessino non solo collabora con Ey, ma in questo momento è il vero stratega del Mef. Tocca a lui suggerire nelle orecchie di Gualtieri quando c' è da fare una nomina o prendere una strada. Almeno metà delle nomine nelle partecipate pubbliche nell' ultimo anno porta il suo timbro o la sua benedizione.
Gli ultimi esempi? A maggio, l' ad di Mps, Guido Bastianini e ieri il neo consigliere di Cdp, Carlo Cerami. Avvocato di spessore, prende il posto del leghista Valentino Grant e del troppo ingombrante Franco Bassanini. Grande esperto di Cdp e sostenuto dal Pd, ma forse non più adatto alla fase del Recovery plan.
Appare sempre più chiaro che l' obiettivo di chi decide dietro le task force è quello di sostenere un governo sbiadito e disposto, pur di stare in piedi, a lasciare campo libero alle filiere di potere che non amano apparire. Il webinar di ieri, ad esempio, ha visto la partecipazione anche di Donato Iacovone.
Il manager era praticamente a casa sua, essendo stato per anni l' ad di Ey Italia, ma parlava con la casacca di presidente di Webuild, il colosso nato dall' aggregazione di Salini Impregilo e Astaldi con l' aiuto della stessa Cdp, che nel Recovery plan avrà probabilmente un ruolo di spicco. Ieri alla discussione è intervenuto anche il numero uno di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. «Io sono convinto che in questa fase sia indispensabile un intervento dello Stato, se non immaginiamo che lo Stato possa supportare attraverso una fase di rilancio attraverso interventi di garanzia, di erogazione di investimenti».
Non è la prima volta che lo dice, sennò Intesa non sarebbe la banca di sistema che è diventata.
C' è però un ma, e va rivolto a chi sta studiando il piano.
L' ex premier dell' Ulivo, Romano Prodi, in questi giorni è tornato con insistenza sulla necessità che lo Stato entri nelle aziende: soldi in cambio di quote azionarie. Poi ne uscirà a tempo debito. Già, ma chi decide quanto è il tempo debito e soprattutto chi riacquisterà quelle quote azionarie in futuro? Ci guadagnerà lo Stato o le aziende che compreranno? Quando si stila un contratto si indicano sempre le parti correlate.
La Verità tramite un articolo di Daniele Capezzone ha già raccontato come la task force di Colao si sia mossa arruolando un componente di Boston consulting, il quale avrà legittimamente attivato i propri contatti. Prima o poi i membri delle task force torneranno a vestire gli abiti civili e non torneranno in Parlamento. In questi gironi si decidono gli investimenti del prossimo decennio e pure le scelte di spesa.
Ci auguriamo che le infrastrutture partano e funzionino, che il fisco e la giustizia civile vengano riformati. Ma Conte in questo momento non ha alcun specifico partito dietro che lo sostenga. E, visto che il contratto che sta partorendo impegnerà l' Italia per almeno dieci anni, vorremmo leggere a piè di pagina i nomi degli strateghi.