Marco Lillo per ''il Fatto Quotidiano''
Grazie al deposito degli atti di indagine si è scoperto finalmente perché Luca Palamara è stato preso nella rete telematica stesa dai suoi colleghi di Perugia con il trojan mentre i suoi co-indagati, cioé gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore e l' ex magistrato Giancarlo Longo, invece, sono rimasti immuni.
Il virus che ha permesso di trasformare l' iPhone di Palamara in una formidabile microspia è stato infatti inoculato con modalità diverse da quelle usate con i co-indagati.
Di qui il successo sul primo e il fallimento sugli altri tre. Ai co-indagati è arrivato ad aprile un gentile messaggio che li invitava a cliccare su un link e i tre si sono guardati bene dal farlo. Il magistrato è stato arpionato dai colleghi perugini con ben altra forza e tecnica.
La Guardia di Finanza, con l' aiuto legittimo della Vodafone, gli ha addirittura bloccato forzatamente il telefono. Così il pm è stato obbligato ad abboccare.
Luca Palamara il 3 maggio all' improvviso ha visto impazzire il telefonino. Il magistrato non riusciva a fare messaggi né chiamate. Quando da un po' imprecava sullo schermo è comparso un messaggio salvifico della Vodafone di questo tenore: "Gentile cliente stiamo riscontrando problemi di linea che potrebbero impedire il corretto funzionamento del tuo apparecchio. Ti consigliamo di fare l' aggiornamento. A breve ti contatterà il servizio clienti". Quel link era il cavallo di Troia che, come per magia, ha fatto ripartire il cellulare trasformandolo però in una cimice con telecamera.
Palamara, abituato a fare il cacciatore e non la preda, ha cliccato. Da quel momento tutti i suoi incontri carbonari per influenzare le nomine dei magistrati di mezza Italia, tutte le sue chiamate su whatsapp, sono finite negli hard disk dei finanzieri del Gico della Guardia di Finanza di Roma.
Invece i suoi co-indagati hanno continuato a essere intercettati solo sulle loro utenze telefoniche tradizionali sulle quali parlavano per lo più di lavoro. Le carte visionate dal Fatto raccontano cosa era accaduto. Il pm di Perugia Gemma Milani il 30 aprile 2019 aveva emesso un "decreto di interruzione temporanea chiamate uscenti su apparato mobile". Sul decreto si legge che la pm "Ordina alla società Vodafone e-o a qualsiasi altro gestore interessato di effettuare un blocco temporaneo solo sulle chiamate uscenti, escluse quelle di emergenza, al fine di simulare un disservizio tramite il quale la società incaricata (la società specializzata in intercettazioni Rcs Spa non la Vodafone, ndr) potrà procedere all' infezione del predetto apparato".
Questa soluzione era stata suggerita, da quel che si legge dal decreto, proprio dalla Guardia di Finanza. La polizia giudiziaria "prospetta () la necessità di emettere un provvedimento di blocco del servizio". Invece agli altri erano stati inviati "meri sms di preavviso del malfunzionamento della rete telefonica". L' avvocato Amara era stato invito a cliccare sul messaggio di malfunzionamento, in data 12 e 17 aprile 2019, l' ex magistrato Longo il 10 aprile e Giuseppe Calafiore il 30 aprile. I tentativi per tutti "non sortivano alcun risultato". Qual è la ragione del differente trattamento?
Al Fatto Quotidiano è stato fornita una spiegazione logica: gli altri intercettati erano già stati indagati e arrestati più di un anno prima. L' avvocato Amara aveva dimostrato grandi capacità di ottenere informazioni sull' inchiesta. Un blocco del telefono nei loro confronti avrebbe potuto suscitare sospetti e bruciare l' indagine. Mentre, spiegano le fonti giudiziarie al Fatto sotto garanzia di anonimato, Palamara non avrebbe immaginato di essere vittima di un trojan da parte dei colleghi. Una spiegazione che ha un senso ma si apre a un' obiezione: anche "i meri sms" potevano suscitare sospetti. Tanto che nessuno dei tre indagati li ha aperti.