Laura Cesaretti per il GIornale
Con un Pd acefalo, squassato dalla guerra per bande interna, persino Giuseppe Conte può permettersi di fare il gradasso.
Così, il capo dei Cinque Stelle convoca una conferenza stampa che ha un unico obiettivo: mettere il veto sui candidati dem sia per le prossime regionali (non in Lombardia, dove M5s non ha mezzo voto, ma nella grande palude del Lazio) sia per le commissioni parlamentari di garanzia, storicamente affidate alle opposizioni.
L'obiettivo è il Copasir (come si sa i servizi segreti sono, curiosamente, un grande pallino di Conte), per il quale i grillini non vogliono un candidato dem con impeccabili credenziali europeiste e atlantiche, come sarebbero l'ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini o il membro uscente Enrico Borghi. L'ex premier ha addirittura ventilato che potrebbe candidarsi lui a presidente Copasir: «Sono un esperto del ramo. Ma ho rifiutato», asserisce. «E chi è, il marchese del Grillo?», lo irridono dal Nazareno, avvertendo: «Se loro mettono il veto sui nostri candidati al Copasir non possono poi pretendere i nostri voti per la presidenza della Vigilanza, su cui vogliono mettere le mani».
Nel Lazio la questione è semplice: Conte (che deve accontentare la destra interna dell'asse Raggi-Dibba) getta acqua gelata sugli ardori dei suoi corteggiatori dem - da Goffredo Bettini alla sinistra dem di Andrea Orlando-, spiegando che la conditio sine qua non per un'intesa elettorale è la rinuncia al termovalorizzatore di Roma, unica via di uscita per la crisi dello smaltimento dei rifiuti. Proprio quello che è stato il pretesto usato dal M5s per regalare la crisi del governo Draghi alla destra, e che ora diventa il pretesto per affondare il mitologico «campo largo». Conte proverà a varare una sua coalizione «progressista» raccogliendo un po' di rottamati di sinistra (da Stefano Fassina a Paolo Cento alla De Petris), con un candidato-bandierina -preferibilmente pescato nella magistratura, tanto che si fa il nome del neo-parlamentare grillino De Raho - con l'obiettivo di rubar voti al Pd e arrivare secondo nella gara, dopo il centrodestra, relegando i dem al terzo posto e attribuendosi il primato sul centrosinistra. Del resto, dice Conte, «con questi vertici Pd, che hanno sposato Draghi e ci hanno accusato di ogni nefandezza trattandoci come appestati, io non mi siedo a tavola».
Per il momento, le reazioni da parte dem sono confuse, e rispecchiano le divisioni interne. Dal Nazareno ci si lamenta: «Conte preferisce che vinca la destra». Ma «si può ancora evitare», si aggiunge, lasciando uno spiraglio di trattativa. Anche perché se no l'alternativa è convergere sul nome indicato da Carlo Calenda, quello dell'assessore alla Sanità D'Amato. Il segretario regionale del Lazio, il franceschiniano Astorre, cerca ancora di ingraziarsi il capo grillino ricordandogli che «la regione Lazio in questi anni si è comportata bene, perchè ha escluso nuovi termovalorizzatori», e che quello di Roma è un'eccezione che non fa regola. «Che aspettano i due assessori M5s a dimettersi dalla giunta Zingaretti?», chiede invece un parlamentare laziale. E poi c'è chi irride i supporter del «campo largo» dentro il Pd: «Ora che quello li ha mandati a quel paese, con che faccia Bettini e Orlando l'11 novembre andranno a fare la ola a Conte, alla presentazione del libro di Bettini, organizzata in pompa magna a Roma per celebrare un'alleanza nata morta?».
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