Federico Geremicca per “La Stampa”
GIUSEPPE CONTE E ROCCO CASALINO - MEME
E adesso il problema sarebbe salvare il soldato Ryan, quella maledetta recluta avventuratisi oltre le linee nemiche. E dire che lo avevano avvertito: non fare di testa tua, prudenza, siamo in territorio ostile. Invece niente.
E ora è tutto un susseguirsi affannoso: piani segreti, manovre a tenaglia e messaggi cifrati per riportare a casa quel novizio che pensava di poter risolvere la faccenda da solo, e a modo suo. Una inutile e pericolosa perdita di tempo. Mentre occorrerebbe fare altro. È per questo che lo stato maggiore è irritato. E dire irritato è ancora poco.
MATTEO RENZI E GIUSEPPE CONTE COME LUKAKU E IBRA
Giuseppe Conte - 56 anni, da Volturara Appula - è la recluta di cui si parla. Definirlo novizio non è un'offesa, visto che veste i gradi da nemmeno tre anni. Dalla sua ha molte attenuanti: la prima, è esser finito subito al fronte, senza lo straccio di un addestramento. Ma il resto - quel che insomma ha portato al punto in cui si è - ce lo ha messo lui.
LE DIMISSIONI DI GIUSEPPE CONTE - MEME
Cocciutaggine, certo. Inesperienza, naturalmente. Ma quel che gli contestano con durezza dallo stato maggiore è non aver ascoltato i consigli. Innanzitutto il primo: mai sottovalutare il nemico. Glielo avevano detto. Se ne è fregato. E ora è lì, isolato oltre le linee: è difficile, ma andrebbe salvato e riportato a casa in qualche modo.
Certe cose, come è noto, si vedono meglio da una certa distanza. E ora - certo: col senno di poi - gli errori commessi da Giuseppe Conte sono più chiari, di facile lettura. A metterli insieme, dall'estate del 2020 fino al pantano in cui è finito, sembrerebbe poterli riassumere in una parabola: quella classica dell'uomo tradito dalla sua stessa, presunta furbizia.
giuseppe conte conferenza stampa a villa pamphilj 2
Nel pieno di una situazione che andava evidentemente degenerando, infatti, il presidente del Consiglio ha pensato di poter cavarsela da solo: dividendo e imperando. E soprattutto galleggiando: sull'onda di una pratica cara a molti suoi predecessori. Che erano, però, espertissimi reduci da cento battaglie. Inesperienza, dunque. Ma diciamola tutta: anche supponenza.
conte e casalino - Grande Fratello Chigi
Qualcosa che è poi tracimato in presunzione: l'idea, Dpcm dopo Dpcm, di aver capito tutto e di poter far da solo. Supponenza e diffidenza, insomma: quella maturata negli anni in cui, da avvocato, sentiva parlare dei leader politici come persone di cui fidarsi poco o niente. Nulla di cui meravigliarsi, considerata la scalata-lampo della «recluta pugliese».
Tutto perfino comprensibile. Ma quando poi arrivi in cima, il rischio dell'ebrezza diventa forte. Può sopraggiungere la vertigine, e con la vertigine il rischio di perdere il contatto con la realtà. Oggi Giuseppe Conte festeggia (ammesso che ci sia da festeggiare) l'avvio del suo trentaduesimo mese a palazzo Chigi. In quanto a durata, si è già messo alle spalle premier come Ciampi e Cossiga, Amato e D'Alema.
matteo renzi maria elena boschi
Ha governato prima con Salvini e poi con Zingaretti: e fino a un paio di mesi fa senza grandi problemi. Che idea può farsi una recluta fresca d'ingaggio di un percorso così? E che giudizio può maturare su leader politici che lo difendono, lo incoronano in tutta fretta, tenendogli bordone senza quasi mai eccepire?
Di essere atterrato nel Paese della cuccagna. Di esser circondato da mediocrità. Di poter facilmente tenere a bada leader muscolari ma impotenti. Di non aver problemi a far da solo. Di essere il migliore, insomma: almeno a paragone della corte che lo circonda.
renzi mejo dello sciamano di washington
Essere il migliore, è autovalutazione inconfessabile ma spesso non mascherabile. E la convinzione di essere il migliore, in politica spesso spalanca le porte dell'inferno.
L'adunata elefantiaca ed autoreferenziale degli Stati generali e il varo della Commissione Colao, fecero suonare il primo campanello d'allarme. Gli alleati furono coinvolti poco o niente, e non nascosero l'imbarazzo per due iniziative che - varate in una pausa temporanea dell'epidemia - somigliavano troppo ad un'autocelebrazione: o a un tentativo, comunque, di parlar d'altro.
Giuseppe Conte non colse (o semplicemente ignorò) l'evidente disappunto dei partiti. Non solo: provò poi a replicare lo stesso schema - quello del premier solitario - nella progettazione della cabina di regìa che avrebbe dovuto gestire la pioggia di miliardi del Recovery fund. Quest' ultima sortita, però, è finita come è finita. Anche perché intanto era accaduto altro...
Era accaduto che il malessere in una maggioranza sempre meno coinvolta nelle scelte fondamentali aveva raggiunto livelli di guardia. E che era molto cresciuto il disappunto verso il chiamarsi fuori del premier rispetto a questioni scottanti e divisive. Silenzio o quasi, per mesi, sui grandi scontri sull'utilizzo del Mes. Un continuo chiamarsi fuori sul varo di una nuova legge elettorale. E poi l'ennesima scelta solitaria sul Recovery plan e la sua struttura di comando.
Un galleggiamento a tratti irritante, nella convinzione - datata in un tempo passato - che evitare i problemi sia un modo comunque di governare. Ma la questione è sempre la stessa: quella della corda troppo tirata, e che alla fine si spezza.
L'ultimo errore - questo imperdonabile - Giuseppe Conte lo commette, appunto, a corda spezzata. Nonostante i consigli dei partiti alleati, non si dimette quando Italia Viva esce dal governo. Non solo. Resta in carica quasi due settimane e - alla maniera di un guascone - avvia l'ultima iniziativa solitaria: entra in campo nemico per dar la sua caccia ai responsabili.
Ed è lì - solo e oltre le linee nemiche - che lo ritrae l'ultima immagine a disposizione. Il soldato Ryan è in trappola, ha finito la sua corsa. Ora aspetta che qualcuno lo soccorra e lo riporti a casa. Dovrebbero essere i partiti alleati, naturalmente. Quelli tanto a lungo snobbati. Lo faranno? Ci stanno provando. Lo faranno davvero? Questo, naturalmente, è un altro discorso.
ARABIA VIVA MATTEO RENZI – INTERVISTA CON BIN SALMAN