Roberto Gressi per il “Corriere della Sera”
giuseppe conte dario franceschini
C'era una barzelletta politicamente scorretta che circolava nei torbidi anni Ottanta. Diceva più o meno così: il presidente americano ha cento guardie del corpo, una è un terrorista ma lui non sa qual è. Il presidente francese ha cento amanti, una ha l'Aids, ma lui non sa qual è. Il presidente sovietico ha mille consiglieri economici. Uno e uno solo sa come uscire dalla crisi, ma, indovinate un po', lui non sa qual è.
Giuseppe Conte vive questa stessa situazione a poche ore dall'incontro con Mario Draghi, mille voci lo frastornano ma lui deve decidere se farsi portare per mano da qualche parte, oppure, come accade ai leader che vogliono essere tali, decidere da solo. Brutta cosa la solitudine, quando non ti aiuta nemmeno il disgelo, da sempre esempio positivo che prelude agli accordi e che ora è invece diventato preludio di catastrofi: sociali, ambientali, politiche.
Due dei personaggi politici più ascoltati, anche se non necessariamente seguiti, si sono presi un non si sa quanto breve sabbatico. Massimo D'Alema è in Albania, Goffredo Bettini si gode il buon ritiro thailandese. Il cordone sanitario del Pd, che punta a salvare il governo e a convincere Conte a uscire dalla palude dei populisti, ruota intorno al segretario Enrico Letta, al potente capo della corrente Area Dem, Dario Franceschini, ai buoni uffici di Francesco Boccia, tra i più convinti che sia necessario andare avanti sulla strada dell'alleanza elettorale con i Cinque Stelle.
Non è un mistero per nessuno che l'incontro di Cortona, tra Letta, Franceschini e Conte sia andato male. Di lì l'ultimatum del capo corrente all'avvocato: chi non è con noi stavolta non sarà con noi domani. Di lì la preoccupazione crescente del segretario dem, che continua sulla strada della diplomazia e si dà da fare anche con Mario Draghi, perché usi un giusto equilibrio tra fermezza e concessioni.
Giuseppe Conte Lorenzo Guerini Dario Franceschini
Partita complicata, perché all'interno del Movimento Giuseppe Conte non trova che incendiari appena appena mitigati da Beppe Grillo, che non vuole uscire dal governo ma poi non lo aiuta sul secondo mandato e soprattutto non pare aver voglia di spendersi più di tanto. Almeno tre vice, Riccardo Ricciardi, Paola Taverna, Michele Gubitosa, sostenuti dal capo delegazione al governo, Stefano Patuanelli, premono perché si arrivi alla rottura, magari con l'appoggio esterno. Poco importa se lo strappo non si consumerà oggi, purché arrivi presto. Restare ci logora, sostengono, ma potrebbe esserci di peggio.
Se traccheggiamo potremmo essere presi di infilata dalla Lega, insistono. Il ragionamento è questo: se usciamo ora il governo non cade e possiamo costruire la nostra campagna elettorale. Se ci facciamo anticipare da Salvini, invece, non solo faremmo la figura di chi va a rimorchio, ma strappando per secondi faremmo davvero cadere Draghi, tirandoci addosso la responsabilità di, a quel punto possibili, elezioni anticipate.
giuseppe conte dario franceschini
A Conte non sfugge quello che il Pd non manca di sottolineargli: hai una figura istituzionale, sei stato presidente del Consiglio, hai trattato da pari con i leader europei: sei sicuro di volerti mettere in pista con rissosi di professione, come Alessandro Di Battista? Nella migliore delle ipotesi ne usciresti ridimensionato.
In queste ore, dalle parti del Pd, si è cercato di offrire a Conte un altro ragionamento. Sei stato disarcionato dalla guida del governo, hai speso la tua robusta popolarità di allora a sostegno di Draghi. Non tutti lo avrebbero fatto. Un atto di generosità non ben ripagato, ti sei sentito emarginato, ti hanno estromesso dalla Rai, hai visto i cavalli di battaglia del tuo Movimento rimessi in discussione. Ok, hai le tue ragioni.
giuseppe conte luigi di maio dario franceschini
Ma la soluzione non è l'appoggio esterno al governo, sarebbe una scelta disastrosa, anche per i tanti che hanno creduto che con te si possa costruire un percorso comune. Cambia piuttosto passo: rivolgiti al Paese. Sostieni il governo ma apri una battaglia politica, culturale, di idee e proposte rivolta alla società. Rivendica di essere uno statista che non lascia l'Italia a piedi mentre c'è una guerra e la crisi dell'energia spaventa le imprese e le famiglie. Ma dì che non basta, ritagliati spazi di autonomia, di indipendenza e di identità. Sono tutti ragionamenti che Giuseppe Conte ascolta ma che al momento non sembrano convincerlo.
E infatti si guarda con preoccupazione alla scelta di riunire il Consiglio nazionale dei Cinque Stelle subito prima dell'incontro con Draghi. Può servire ad avere un mandato unitario, certo, ma è più probabile che finisca con il consegnare al leader una lista della spesa velleitaria, che per il presidente del Consiglio sarebbe impossibile da accettare. È vero che il voto anticipato è considerato una scelta irresponsabile, soprattutto dal presidente della Repubblica, ma a forza di sfasciare anche le cose che non si desiderano possono avverarsi.
E anche un altro segnale si tenta di far giungere a Conte. Attenzione: quando le cose vanno male, c'è la tentazione del ritorno alle origini. Una sorta di età dell'oro perduta che si ritroverà, se si azzera tutto e si torna puri. Ma non è che un'illusione, tanti partiti ci hanno provato, ma con gli occhi dietro le spalle si fa poca strada.
francesco boccia giuseppe conte conte boccia speranza