giuseppe conte dopo l'incontro con draghi
Ilario Lombardo per “la Stampa”
In quella stanza, alla fine dell’incontro, entrambi sanno che potrebbero non essere loro a controllare una crisi che sembra diventare ogni ora di più inevitabile. Ma l’appuntamento va comunque onorato. E così Mario Draghi e Giuseppe Conte si siedono uno di fronte all’altro, senza nessuno intorno. Si danno del tu, come hanno sempre fatto. Per i primi quarantacinque minuti è quasi solo il leader del M5S a parlare. Draghi si limita ad ascoltare. Non fa domande.
giuseppe conte dopo l'incontro con draghi 1
Non chiede se l’avvocato abbia intenzione di uscire dal governo. Di fronte a sé ha il documento in 9 punti che l’avvocato ha preparato assieme al Consiglio nazionale del Movimento. Il volto del premier è imperturbabile. O almeno è così che entrambi lo raccontano ai propri collaboratori. Lascia trasparire poco, e quando lo fa è per mostrare la massima disponibilità, e per cercare di smentire che siano state erette muraglie di diffidenza contro ogni iniziativa dei 5 Stelle.
L’incidente delle telefonate tra Draghi e Beppe Grillo, in fondo il vero motivo che ha portato tutti e due qui e la maggioranza a un passo dall’implosione, viene liquidato in un accenno. È Draghi a farlo, limitandosi a ribadire di non aver mai chiesto al comico genovese di affossare la leadership di Conte. Il capo del governo prende tempo. Chiede di avere modo di riflettere. In realtà non si danno una scadenza. Sarà poi Conte, pressato dai suoi parlamentari, a fissare per fine luglio il termine massimo. Sempre che il governo ci arriverà integro. La crisi non è scongiurata. Nessuno lo pensa a Palazzo Chigi.
Martedì prossimo il decreto Aiuti arriverà in Senato, dove i 5 Stelle sono più agguerriti e dove non è possibile aggrapparsi all’escamotage di scorporare il voto finale di fiducia come avviene alla Camera. «Che farà Conte?», si chiede Draghi. Ma la domanda forse dovrebbe essere rivolta altrove, alla truppa incontrollata di grillini stufi del governo. Il premier non può fare altro che muoversi in questo orizzonte che appare di giorno in giorno più stretto. Non c’è solo il M5S a minacciare di uscire.
A costruirsi una nuova vita di opposizione. Anche Matteo Salvini ha messo la Lega in una posizione d’assedio, pronta a rompere se servirà. Uno degli interrogativi che più agitava il presidente del Consiglio e la sua squadra nelle ore che avevano preceduto l’incontro a Palazzo Chigi, era se Conte avrebbe chiesto il rimpasto. Non lo fa. Per Draghi è significativo. Sul punto non è insensibile alle lamentele del presidente del M5S.
BEPPE GRILLO - GIUSEPPE CONTE - MARIO DRAGHI - BY EDOARDO BARALDI
Dopo la scissione di Luigi Di Maio, il leader ha perso i suoi ufficiali di collegamento in importanti ministeri. Innanzitutto, all’Economia, lo snodo delle principali decisioni, la cassa dei provvedimenti, dove è rimasta Laura Castelli, ex grillina passata con il ministro degli Esteri. Draghi ne approfitta per tirarsi fuori dall’operazione di Di Maio, anche se Conte non sembra del tutto convinto. Comunque, la distanza che si è scavata nei mesi tra il Consiglio dei ministri e i partiti è troppa, secondo l’avvocato. Per il premier non è un problema ripristinare la Cabina di regia, usarla maggiormente come centro decisionale, prima che i testi arrivino in Cdm, anche per compensare la perdita di uomini dentro l’esecutivo. È una concessione che è disponibile a fare. Assieme ad altre proposte del M5S che considera di «buon senso».
GIUSEPPE CONTE DOPO L INCONTRO CON MARIO DRAGHI A PALAZZO CHIGI
Ci sono punti che Draghi può immediatamente sposare, altri su cui è possibile un compromesso, e altri ancora che invece secondo il premier hanno limiti oggettivi di realizzabilità. Sul reddito di cittadinanza il premier torna a rassicurare il leader: «Ho sempre detto che per me deve restare, che non c’è alcuna volontà di cancellarlo». Sul salario minimo, l’apertura di Draghi è più condizionata. Sicuramente si troverà una formula, anche perché – ricorda il premier – c’è una direttiva europea che lo richiede e tra meno di una settimana le parti sociali sono state convocate a Palazzo Chigi.
Il tema sarà al centro del confronto. Ma evitando scelte avventate: perché il salario minimo in una fase di rialzo forte dei prezzi può scatenare una spirale inflattiva. Per questo si sta ragionando sul compromesso, proposto da Andrea Orlando, di avviare subito gli adeguamenti ai minimi salariali dei contratti di categoria più rappresentativi per le sigle che rappresentano i lavoratori.
Anche sul cuneo fiscale, Draghi ha dato avvio a un percorso che in autunno dovrebbe garantire maggiori finanziamenti all’interno della legge di Bilancio. Difficile che si troverà, invece, una convergenza sulle cartelle esattoriali, se la soluzione dovesse rivelarsi un condono mascherato, come temono al ministero dell’Economia.
Oppure sul Superbonus al 110%, altra riforma bandiera del M5S. Conte chiede di sbloccare le cessioni e di consentire il completamento dei lavori. Non si spinge oltre. Viene notato – e apprezzato - che Conte non mette nero su bianco la richiesta di proroga di una riforma che il Tesoro considera troppo onerosa e fonte di truffe miliardarie. Conoscerebbe già la risposta. —