Rocco Cotroneo per il “Corriere della Sera”
A ogni turbolenza internazionale è sempre l' Argentina l' anello debole sui mercati finanziari, con effetti che trasformano una semplice giornata difficile - un po' ovunque nel mondo, come quella di ieri - in ore di panico.
La corsa al dollaro ha fatto nuovamente sprofondare la moneta argentina, con un uno-due simile a quanto avvenne ai primi di giugno. E questo nonostante le rassicurazioni del governo, le parole di appoggio del Fondo monetario e un ulteriore aumento dei tassi.
Ieri un biglietto verde Usa è arrivato a quotare 41 pesos, con una impennata prossima al 10 per cento in soli due giorni. I tentativi del Banco Central di Buenos Aires per sostenere la moneta sono ormai disperati. Il tasso monetario di riferimento, già altissimo, è stato portato addirittura al 60 per cento, e proseguono gli interventi sul mercato. Ma nulla sembra riuscire a cambiare il vento.
Oscillazioni più contenute, ma considerando le dimensioni dell' economia ancor più significativi, sono gli effetti della corsa al dollaro nel vicino Brasile. Il tasso di cambio tra il real e la moneta americana è al massimo storico. Dal lontano 1994 - anno di creazione dell'attuale valuta e fine dell'epoca di iperinflazione - mai si era sfondata la soglia di 4,20 nel cambio dollaro-real.
Qui ai fattori internazionali si somma il rischio politico. A un mese dal primo turno delle elezioni presidenziali l' incertezza preoccupa e i nomi in testa ai sondaggi non piacciono ai mercati: c' è l' ex militare di estrema destra Jair Bolsonaro, seguito da Fernando Haddad, il probabile candidato della sinistra al posto di Lula (fuori gioco perché in prigione), mentre i nomi più rassicuranti per gli operatori sono assai più indietro nelle intenzioni di voto e appare difficile che possano recuperare.
L' economia brasiliana cresce, ma molto lentamente e ci vorrà parecchio tempo affinché torni ai livelli precedenti la recessione del 2014-2017. Ma torniamo a Buenos Aires. A far scoppiare la nuova crisi del peso c' è stata paradossalmente una notizia non negativa, e cioè l' annuncio di una nuova intesa tra il governo di Mauricio Macri e il Fondo monetario.
proteste per la corruzione in argentina
A giugno era stato concesso all' Argentina un prestito di 50 miliardi di dollari, di cui 15 sono già stati erogati; stavolta le parti si sono impegnate ad anticipare le tranche successive a sostegno del programma di rilancio dell' economia. La stessa Christine Lagarde, numero uno del Fmi, ha confermato la novità con parole di apprezzamento per l' Argentina.
Il problema è che i mercati, e non del tutto a torto, hanno letto la fretta a ricevere i fondi come la conferma che la situazione economica non è per nulla rosea. E hanno ripreso a vendere pesos per comprare dollari. Mentre il governo Macri si sforza inutilmente di dissimulare normalità sostenendo che l' economia reale non sta male (in effetti, per l' anno in corso, c' è tuttora una previsione di crescita del Pil di mezzo punto) e che si sta ponendo rimedio a tutti i danni fatti dai governi passati in termini di spesa pubblica e deficit di bilancio.
E' l' argomento di sempre di Mauricio Macri, arrivato a chiudere la lunga gestione «populista» dei Kirchner, ma più passa il tempo meno è sostenibile. All' interno del suo governo si alzano voci a favore di un cambiamento di strategia, in quanto il più «amichevole» dei leader argentini dopo decenni è quello che più rischia di essere sotterrato dai mercati finanziari. «Non si può far finta che nulla stia succedendo e che la colpa sia solo del passato», sostengono in molti nell' area di governo.
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