DAGOREPORT
Le divisioni nella maggioranza di governo sono più profonde di quanto non appaia pubblicamente.
I contrasti politici, infatti, sono la diretta conseguenza delle distanze ideologiche, soprattutto quelle tra Fratelli d’Italia da un lato e Forza Italia e Lega dall’altro.
Il partito di Giorgia Meloni, Fazzolari in testa, è nazionalista e di conseguenza statalista. Va dunque a cozzare con l’impostazione liberal-liberista di Forza Italia e quella autonomista-decentrata del Carroccio.
Lo statalismo meloniano avrà un peso quando si inizierà a lavorare alla manovra, che, con l’entrata in vigore del nuovo patto di stabilità, unito alla procedura d’infrazione aperta contro l’Italia da Bruxelles, sarà lacrime e sangue: servirà un taglio di almeno 10-12 miliardi all’anno.
Con le finanze pubbliche così esigue, come fa lo Stato a intervenire sull’economia come vorrebbero i Fratelli d’Italia? Sono gli stessi “patrioti” ondivaghi che, nel giro di due giorni, hanno venduto la rete Tim agli americani di Kkr e sbolognato l’ex Alitalia ai tedeschi di Lufthansa. E poi lanciano Cdp a papparsi Aspi tenendo i fondi Blackstone e Macquarie in minoranza.
Quando il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha iniziato a introdurre il tema finanziaria, nel Governo hanno buttato la palla a settembre. Dopo l’estate, infatti, si terrà una riunione decisiva a cui parteciperà, oltre al bocconiano di Cazzago Brabbia, anche il ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, il direttore generale del Tesoro, Riccardo Barbieri Hermitte, oltre ovviamente al viceministro Maurizio Leo, piazzato a via XX settembre dalla Meloni per tenere d’occhio il cuor di semolino della Lega.
Non sarà una tavola rotonda riposante per Giorgetti: a settembre arriveranno gli ispettori di Bruxelles per verificare la messa a terra dei progetti del Pnrr e il Governo dovrà iniziare a trattare con l’Ue il piano di rientro del deficit, che quest’anno si attesterà al 4,3% del Pil.
giorgia meloni guarda in cagnesco emmanuel macron g7 2
Nel tatticismo senza strategia del Governo, l’unica ancora di salvezza immaginata finora è accodarsi alla Francia, il cui deficit nel 2024 dovrebbe arrivare addirittura al 5%: la speranziella coltivata da Giorgia Meloni è che Bruxelles conceda flessibilità a Roma dopo averla concessa a Parigi.
Della serie: se aiutano loro, infiliamoci anche noi. Peccato che la situazione d’oltralpe, per quanto allarmante, non sia minimamente paragonabile alla nostra: l’Italia ha un debito pubblico del 140% del Pil, la Francia “soltanto” del 110. Senza considerare le molte riforme che da anni vengono rinviate per ragioni elettorali: la concorrenza, la giustizia, la sburocratizzazione.
BIAGIO MAZZOTTA - RAGIONIERE GENERALE DELLO STATO
giovanbattista fazzolari giorgia meloni
Antonino Turicchi Giancarlo Giorgetti e Carsten Spohr