Carlo Bertini per “la Stampa”
giuseppe conte dario franceschini
La trama di questo suggestivo film era nota allo stato maggiore dem prima che i vertici del partito vedessero la copertina dell'Espresso di ieri con la foto di Franceschini indicato come carta di riserva pronta per Palazzo Chigi. Per questo nessuno ha avuto un brivido alla schiena. Ma gli informatori del segretario, sparsi nel governo e nei Palazzi, avevano riportato la soffiata in questi altri termini: «Renzi proverà a fregarci col trabocchetto di proporre a Franceschini la poltrona di premier, ma Dario non abboccherà».
E questo "trabocchetto" servirebbe a sostituire in corsa Giuseppe Conte, che per l'ex rottamatore rappresenta un ostacolo, in quanto potrebbe un domani occupare lo stesso spazio politico ambìto da Italia Viva, diventando leader di una nuova edizione della Dc 4.0 che catalizzi grillini ostili a Di Maio, centristi di varia estrazione e schegge di Forza Italia.
Ora, posto che Franceschini è tra quelli che non andrebbero alle urne per non far vincere Salvini, e dato per scontato che ha una tela fitta di rapporti consolidati col mondo renziano e coi 5 Stelle (Di Maio compreso), nessuno crede che abboccherebbe all'amo dell'ex leader. «Matteo vuole solo mettere zizzania nel Pd», sbuffano dallo staff del ministro della Cultura.
«Dopo il governo Conte ci sono solo le elezioni», ha avvisato il capo delegazione Pd dopo la mezza sfiducia recapitata da Renzi al premier in carica. Messaggio ai "molestatori" del governo, ma che letto in controluce contiene uno stop alle manovre che lo riguardano già rimbalzate nei Palazzi. Zingaretti e compagni sono invece davvero persuasi che la maggioranza possa crollare dopo la manovra: o per un azzardo di Renzi o per l' implosione del M5S. «Se tentasse il gioco di sostituire Conte con qualcun altro, noi andremo alle urne dicendo no a qualsiasi altro governo. E vediamo cosa fanno lui e Di Maio», spiega un ministro di primo piano.
giuseppe conte luigi di maio dario franceschini
In parole povere: il Pd certo non aprirà mai la crisi. Ma se qualcuno, leggi Renzi, mettesse in discussione la maggioranza, si voterà per forza. «Basta furbizie, sgambetti, ipocrisie, al governo l' Italia chiede gioco di squadra», dice Zingaretti. «Solo condividendo questo spirito è utile andare avanti».
Ma l'incognita vera per il Pd sono i 5 Stelle, che possono implodere da un momento all' altro. Se saltasse Di Maio, con i grillini divisi non sarebbe possibile fare un' altra maggioranza. Ma con una buona metà dei pentastellati viceversa si potrebbe fare un' alleanza elettorale, per prendere quanti più parlamentari possibile. E fare blocco contro la destra. Magari candidando lo stesso Conte come premier di una nuova alleanza larga.
Il timing sarebbe più o meno questo: varo della manovra in dicembre, voto in Emilia Romagna a fine gennaio, verifica (in caso di sconfitta) sulla tenuta di governo a febbraio, nomine di decine di manager di società partecipate e authority in primavera (un banchetto cui nessuno degli alleati rinuncerà) e (nel caso) voto a giugno. L' unico interrogativo è se il taglio dei parlamentari verrà promulgato a gennaio o se qualcuno (come il renziano Giachetti) troverà le firme per il referendum. Il Pd mette in conto il rischio di perdere contro Salvini, ma dopo un altro anno di logoramento questo rischio aumenterebbe in modo esponenziale.