Cesare Zapperi per il Corriere della Sera
BETTINO CRAXI E CLAUDIO MARTELLI
«Bettino Craxi era antipatico perché incarnava la politica in un' epoca di crollo delle ideologie e di avversione ai partiti. Perché non temeva né di macchiarsi di una colpa né di affrontare l' odio. Perché era alto e grosso, ribelle e autoritario». Claudio Martelli lo conosceva bene.
Del leader socialista morto vent' anni fa ad Hammamet è stato il delfino, il vicesegretario, l' amico e consigliere fidato per tanti anni. E anche se nel vortice degli scandali e nel crollo di consensi fino alla quasi scomparsa del Psi i rapporti umani tra i due un po' si guastarono, l' ex ministro della Giustizia che ora scrive libri e corsivi per i quotidiani resta uno dei più informati e autorevoli testimoni della stagione craxiana.
Martelli ci offre un «ritratto inedito dell' uomo politico e dell' amico intimo» nel suo saggio, in uscita domani, dal titolo provocatorio L' antipatico. Bettino Craxi e la grande coalizione (editore La Nave di Teseo). Non è una biografia ma una articolata analisi, vista dal di dentro ma con il distacco del tempo trascorso, del percorso politico di Craxi e della sua caduta.
Su questa, in particolare, Martelli, si distacca dalla storiografia dominante per dipingere il leader del Psi non come vittima di Mani Pulite e della corruzione (anche se nei confronti dei magistrati la condanna è durissima) ma di un «quarto partito»: «Il partito internazionale degli affari, segnatamente quello inglese e americano». Craxi, secondo il vecchio sodale, andava eliminato «non perché era il più corrotto ma perché era il perno degli equilibri politici».
1989. claudio martelli congresso nazionale ravenna con luca josi
Martelli nel titolo del libro parla di «Grande coalizione». È quella che sfrutta il divorzio tra Banca d' Italia e Tesoro e beneficia delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni per un vero e proprio assalto alla diligenza svendendo a prezzi da saldo «le maggiori banche e non poche delle più grandi e medie aziende pubbliche».
Craxi pagò anche i suoi errori politici. Nel '92 «arrivò agli appuntamenti decisivi in condizioni di grande debolezza» scrive Martelli, per le inchieste che colpivano i socialisti e perché il segretario aveva coltivato «come unica opzione l' alleanza con la Dc» che, sottolinea il suo ex vice, «di riportare Craxi alla guida del governo non aveva alcuna voglia». La guerra scoppiò con De Mita, ma anche Forlani ruppe l' asse.
E lo stesso tentativo, pur tardivo, di allacciare i rapporti con il Pds portando gli ex comunisti nel Pse fallì perché D' Alema, accusa Martelli, gli assestò «il morso dello scorpione». Infine, il drammatico epilogo, tra le condanne, la demonizzazione, il ritiro ad Hammamet.
Martelli mette all' indice politici e giornalisti. E a sorpresa salva solo Bossi che disse: «I re non si mandano in galera: o la ghigliottina o l' esilio».
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