Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera
Il successo di Piercamillo Davigo non ha portato con sé quello della sua corrente, Autonomia e indipendenza, che nell' ultimo anno ha fortemente criticato la gestione del Consiglio superiore della magistratura e dell' Associazione nazionale magistrati. Del gruppo nato nel 2015 dalla scissione da Magistratura indipendente, insieme all' ex pm di Mani pulite, entra nel nuovo organo di autogoverno delle toghe solo il procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita, anche lui piuttosto noto per le indagini antimafia e qualche partecipazione ad appuntamenti organizzati dai Cinque stelle, che comunque è arrivato ultimo nella gara per la categoria dei pubblici ministeri raccogliendo la metà dei voti di Davigo. Fra i giudici di merito, invece, dei due candidati di Ai non l' ha spuntata nessuno.
Dunque l' ondata anti sistema non s' è affermata anche tra i magistrati, come poteva sembrare dopo l' affermazione di Davigo; la conduzione delle correnti tradizionali (Mi, Unità per la costituzione e Area) tiene seppure con una netta redistribuzione interna a favore della destra di Mi (passata da 3 seggi a 5) e a scapito della sinistra di Area (scesa da 7 seggi a 4) con i centristi di Unicost che mantengono - con grande soddisfazione viste le premesse dello scrutinio in Cassazione - i loro cinque posti.
L' exploit di Davigo non è andato oltre la sua persona, anche se l' interessato riconduce tutto a un errore tattico: «Abbiamo sbagliato a considerare la soglia del quorum poco sopra i 400 voti, mentre invece era più alta. I nostri due candidati tra i giudici di merito sono andati entrambi ben oltre, ma non è bastato e sono rimasti fuori. Ne avessimo presentato uno solo sarebbe stato eletto».
In sostanza, per provare a prendere 4 seggi anziché 3, si sono fermati a 2. «È stato un mio errore», ammette Davigo, che non sembra voler dare peso alla ridotta presa politica registrata dal suo movimento.
Che probabilmente non ha tolto voti alla corrente originaria di Mi, bensì alla sinistra di Area. Riproponendo in questo ciò che è accaduto in Parlamento, dove i grillini hanno tolto voti soprattutto al Pd. Ecco perché la segretaria del gruppo Cristina Ornano dice che «il contesto politico generale del Paese ha sicuramente influenzato anche queste elezioni per il rinnovo del Csm», sostenendo che al di là della sconfitta in Cassazione, tra giudici di merito e pm la sinistra ha tenuto come numero di voti, e che il taglio dei seggi è dovuto a un «sistema elettorale penalizzante».
Ma, giustificazioni a parte, l' arretramento della sinistra giudiziaria è difficilmente contestabile, così come il successo di Magistratura indipendente, gruppo da sempre catalogato come il più conservatore all' interno dell' Anm e dunque di destra, che ha come leader un giudice in aspettativa, Cosimo Ferri, entrato al governo come sottosegretario in quota Forza Italia e oggi parlamentare del Pd renziano. Una fotografia della realtà che il neo-eletto Corrado Cartoni bolla come «rappresentazione illogica; i magistrati se ne sono infischiati, premiando chi lavora seriamente per cercare di risolvere i problema della categoria e del sistema giustizia».
È possibile che le rivendicazioni di stampo sindacale abbiano avuto la meglio sugli schieramenti ideologici, ma in ogni caso la maggioranza interna al Csm è ora nelle mani dei tre gruppi che governano insieme l' Anm, con Ai all' opposizione. Che hanno i numeri per scegliere il vicepresidente tra gli otto «laici» che dovrà indicare il Parlamento; una situazione con cui dovranno fare i conti i partiti nella scelta dei candidati da eleggere, a partire dalla prima votazione fissata per la prossima settimana.
sede csm consiglio superiore della magistratura