Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa”
Il disegno di legge si chiama «concorrenza». Ma sei emendamenti-fotocopia firmati da senatori di Pd, Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Ncd e Ala (verdiniani) cercano di impedire alle cliniche odontoiatriche low cost di fare concorrenza agli studi tradizionali. Le cliniche denunciano una manovra lobbistica testimoniata dall' identità lessicale degli emendamenti.
Il disegno di legge concorrenza, presentato ogni anno dal governo per attuare le segnalazioni dell' Autorità Antitrust, in Parlamento diventa campo di battaglia lobbistica. I nuovi soggetti chiedono di eliminare le barriere all' accesso ai mercati; le categorie organizzate le difendono o, come in questo caso, provano ad alzarne di nuove.
belen rodriguez twitta una foto dal dentista
I sei emendamenti-fotocopia all' articolo 46 sono espliciti: «I soci di società operanti nel settore odontoiatrico, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere iscritti all' Albo degli odontoiatri».
La paternità è dell' Associazione nazionale dentisti italiani, che raduna 23 mila professionisti su 60 mila (il numero è in crescita grazie al ritorno di laureati dall' estero, soprattutto dalla Spagna, eludendo il numero chiuso universitario). Spiega Gianfranco Prada, presidente dell' associazione: «Abbiamo consegnato gli emendamenti ai senatori dopo un' audizione parlamentare. E' stata un' azione lobbistica alla luce del sole. Abbiamo avuto un certo successo, visto che sono stati recepiti da cinque diversi partiti».
Negli ultimi anni i dentisti tradizionali hanno perso fatturato. Colpa della crisi (la spesa delle famiglie è scesa del 28 per cento) e dell' apertura delle cliniche private. La prima fu Vitaldent, multinazionale spagnola, cui sono seguiti soggetti più o meno strutturati e capillari (anche le Coop sono entrate nel settore). Oggi sono circa 500, diffuse prevalentemente nelle grandi città del centro-nord e in aumento ovunque.
I centri commerciali sono le zone più richieste. La crescita del fatturato è in media del 30 per cento l' anno. I punti di forza: accessibilità (locali su strada, si entra come in negozio anche solo per chiedere informazioni), marketing aggressivo (prime visite gratuite, prestazioni-civetta come l' ablazione del tartaro a 20 euro), forte presenza sul web (gruppi di acquisto). Alcune hanno prezzi in linea con quelli tradizionali; altre scelgono la politica low cost, con sconti medi del 30 per cento.
Secondo l' Associazione dentisti, «le società di capitale e la logica speculativa di un investitore finanziario non sono in grado di tutelare il diritto costituzionale alla salute». E i dentisti-dipendenti sarebbero «condizionati dalle direttive imprenditoriali nella scelta delle terapie a scapito della qualità», in certi casi sottopagati («15 euro l' ora») e costretti a ridurre i tempi delle cure.
«Si tratta di affermazioni senza alcun riscontro fattuale né scientifico - replica Luca Foresti, amministratore delegato del Centro Sant' Agostino, che ha nove poliambulatori ed è stato tra i primi a entrare nel settore odontoiatrico -. La verità è che i dentisti non riescono a competere sul mercato e provano a bloccare le catene con un assurdo codicillo il cui effetto sarebbe devastante: le cliniche chiuderebbero o dovrebbero vendere quote a dentisti che non hanno capitali per comprarle».
Si stima che ogni clinica richieda un investimento iniziale di almeno 500 mila euro. Da valutare anche l' impatto occupazionale. In genere una clinica ha tre poltrone-paziente (per i dentisti tradizionali la media è 1,7) e occupa sette-otto medici più due-tre impiegati al desk clienti.
A differenza dei professionisti tradizionali, le cliniche private non sono organizzate in un' associazione di categoria. La loro azione di lobbying è affidata ai social network e al contatto diretto con i parlamentari. Ma Foresti è ottimista. «Questa norma è contro lo spirito dei tempi. Se fosse approvata, significherebbe che in Parlamento dormono tutti».