1 - NON SOLO DESTRA LE PEN ALLA SVOLTA
Leonardo Martinelli per “La Stampa”
Nel salone dove le salsicce passano sulla griglia e le birre circolano generose, quella canzone, inevitabile, doveva arrivare: surreale qui, ma retaggio di altre feste, decenni prima. Intona "Bella ciao" la band, che sta intrattenendo il popolo di Marine (Le Pen, ma tutti la chiamano Marine e basta, come l'amica simpatica che chiami quando sei proprio giù di corda), in attesa che lei parli, qui nella periferia di Reims. E allora c'è chi abbandona piatti fumanti e balla, batte le mani.
«O partigiano portami via», cantano in italiano. In una Francia dove la sinistra è allo sbando da anni, è a quel bacino, i ceti popolari, che si rivolge la zarina dell'estrema destra (ma Le Pen odia l'espressione, dice che destra e sinistra non esistono più, solo le vittime della mondializzazione contro le élite). Ieri, nel Nord della Francia, si è consumata una sfida a distanza, tra lei, a Reims, ed Eric Zemmour, il candidato sovranista, che ha parlato a Lilla ai suoi sostenitori, mentre a centinaia per strada gli gridavano contro «siamo tutti antifascisti» (pure loro in italiano).
emmanuel macron e marine le pen
Da quando Zemmour, già giornalista e star televisiva, si è candidato alle presidenziali di aprile, Marine l'hanno data finita a più riprese. Lui la insidia nei sondaggi, lei per ora non cede. Ieri ha convocato il suo popolo. L'atmosfera è di una sagra paesana, familiare e quasi melanconica. I ragazzi tatuati, con le giacche di cuoio, vagamente minacciosi, che ancora si mostravano a gruppetti nei suoi comizi nel 2017, alle ultime elezioni presidenziali, sono spariti.
La donna parla di «qualche nazista», partito tra le braccia di Zemmour, meglio così. Jackie, 60 anni, guardia municipale in un paesino a sud di Parigi, si sente tranquillizzato. Dice che «Zemmour è troppo estremista, mi fa paura. Marine è l'unica che vuole proteggere il popolo». Più in là, Chloé è sbarcata da un villaggio dell'Alsazia. Ha vent' anni, solare, avvolta in una bandiera francese.
Pure lei si fida di Marine, «la sola che parli ai giovani». Intanto Julien Odoul fa un selfie dietro l'altro. È il responsabile del Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen, in Borgogna. Faccia d'angelo, stretto in una camicia attillata, è una presenza costante nei talk show delle tv. Ma con quel sorriso può dire cose terribili, come quando, in pieno consiglio regionale, si scagliò contro una donna musulmana, semplice visitatrice, presenza discreta ai margini dell'aula, dicendole di togliersi il velo dalla testa «in nome dei principi repubblicani e di laicità». Potrebbe coincidere con l'aggressività zemmouriana su questi temi. Ammette che «mi hanno contattato, per andare con loro. Ma io ho rifiutato».
marine le pen ed emmanuel macron
La provocazione è l'arma di Zemmour, come quando imperversava nei dibattiti tv. «Ma con quella le presidenziali non le vinci», sottolinea, ostentando sicurezza, Philippe Olivier, lo stratega di Le Pen dal 2017, dopo la sconfitta contro Macron. Sessant' anni, look da "gentleman farmer" (molto rassicurante), cognato di Marine (marito della sorella Marie-Caroline), l'ha spinta verso la normalizzazione, ad accelerare quella «dédiabolisation», per sdoganarsi dal padre Jean-Marie, che lei aveva già iniziato una decina di anni fa.
Negli ultimi giorni diversi esponenti del partito sono fuggiti direzione Reconquête, il movimento di Zemmour. Lei, stizzosa, ancora ieri mattina accennava a «qualche nazista», di cui si è liberata, tanto meglio. Ecco, ora, però, è arrivato il momento di parlare al suo popolo.
Nel discorso non fa alcun accenno diretto a Zemmour, molti invece a Macron, come se si sentisse già al secondo turno. Lo definisce «sprezzante, ma anche deprimente». Poi, però, cede pure alle vecchie tentazioni, inanellando una serie di lugubri constatazioni sull'immigrazione e i suoi riflessi sulla delinquenza, come non ne faceva da tempo. "Marine", "Marine". Stanca, se ne va via sotto i soliti gridolini, le isterie, le sincere testimonianze di affetto del suo popolo, che con lei ritrova qualche illusione e la voglia di empatia. Il senso di comunità di un tempo, di una Francia rossa profonda. Quando si cantava Bella Ciao
2 - LA LE PEN RASSICURANTE, ZEMMOUR PIÙ FEROCE: SFIDA DI DESTRA IN PIAZZA
Francesco De Remigis per “il Giornale”
Toni brutali senza mezze misure. Il «derby elettorale del Nord» mostra i muscoli di Marine Le Pen ed Éric Zemmour nei primi due meeting politici dopo l'alleggerimento delle misure sanitarie in Francia.
Due comizi contrapposti, testi rivisti in corso d'opera e pronostici della vigilia azzerati da un sondaggio dell'ultimora. Secondo Ipsos-Sopra Steria per Le Parisien, i due antagonisti più a destra (rispetto ai neogollisti) per la prima volta sono testa a testa al 14% ciascuno, al primo turno per l'Eliseo; Valérie Pécresse li supererebbe col 16,5%, qualificandosi contro Emmanuel Macron (24%), con chance di battere il presidente uscente proprio grazie ai voti dei protagonisti della giornata di ieri.
MATTEO SALVINI CON MARINE LE PEN A PARIGI
Che vanno quindi all'attacco. Comincia Zemmour, capo del movimento «Riconquista!». Si proclama giustiziere di una Francia «dove le leggi dello Stato sono rimpiazzate dalla sharia». La «terribile verità» che qualcuno vuol negare, dice, è che «la Francia si sta islamizzando a gran velocità, prendiamo Roubaix, un Afghanistan a 2 ore da Parigi», si vedono più moschee che gonne. «Z» tuona contro il niqab, mentre la Francia «sparisce» sotto gli occhi del governo: «Scandaloso».
Poi lancia la proposta di destinare 10mila euro per ogni francese che nasce in una cittadina delle zone rurali, togliendo i finanziamenti ai richiedenti asilo per tamponare gli effetti della teoria della «grande sostituzione». «Lanceremo la più grande riforma di Stato dai tempi del generale De Gaulle, abbiamo cinque anni per cambiare il Paese più burocratico del mondo», insiste Zemmour.
jean luc schaffhauser marine le pen
Sferza la macchina transalpina, ma pure Macron, accusato d'aver speso «140 milioni di euro per aiutare lo sviluppo della Cina» in piena pandemia; e il governo, ignorare l'emergenza abitativa che vede «il 20% di stranieri occupare le case popolari». «La festa è finita, ridaremo gli alloggi ai francesi e aumenteremo gli stipendi netti, fino a 150 euro al mese in più». Se «Z» vuol usare i miliardi di aiuti agli stranieri per tagliare le tasse sul lavoro, nessuno dei due candidati, dal palco, vuol parlare dell'altro, vista l'inedita parità percentuale tra l'ex editorialista del Figaro in guadagno (+2%) e la leader del Rassemblement national in leggera perdita.
MATTEO SALVINI E MARINE LE PEN
«Z» riunisce a Lille circa 7mila persone, Le Pen oltre 4mila a Reims. Sfida ravvicinata: nel nord ormai deindustrializzato chiamato a raccolta dai due contendenti. Il conservatore-liberale-identitario contro la collaudata destra nazionalista. Sono in un fazzoletto. E Le Pen prova a rendersi più desiderabile.
Su certi temi, è accusata dai supporter di «Z» di strizzare l'occhio alla sinistra. Per esempio quando cita dal palco la lotta all'evasione fiscale. Al suo terzo tentativo di conquistare l'Eliseo, BleuMarine rispolvera la formula del «patriottismo economico».
Vuol fare uscire la Francia dalla Nato, dice. Conserva i temi «forti»: anche per lei, potere d'acquisto, immigrazione e islam. Ma «non voglio una guerra di religione». È la prima volta che lo dice in modo così netto. Un videomessaggio di Viktor Orban e di Matteo Salvini.
Poi prende la parola e Macron diventa il bersaglio prediletto, accusandolo d'aver portato «immenso caos». «I francesi non sono condannati all'abbandono», promette Le Pen rilanciando pure la «laicità applicata nello spazio pubblico e nelle imprese». Se la prende con Bruxelles e con i «talebani del verde», schierandosi con gli agricoltori vittime di «campagne diffamatorie e aggressioni».
Boccia il patto Ue sui migranti: «È un patto col diavolo che dà all'Europa il potere di dire chi può trasferirsi da noi e chi dev' essere espulso»; e Macron «lo aggrava ogni giorno». Ma si abbandona pure a un momento di inedita intimità parlando del divorzio dei genitori quando aveva 16 anni. «La vita è fatta di sacrifici, difficoltà, prove». Ricorda l'arrivo dei suoi «meravigliosi» figli. Getta il suo privato nella campagna elettorale: «Sono stata una di quelle famiglie monoparentali per anni, conosco la difficoltà psicologica che ciò rappresenta». Anche così punta a distinguersi dal feroce Zemmour. Con un tocco di materna umanità.