Estratto dell’articolo di Fabrizio Roncone per corriere.it
alessandro di battista in viaggio
Alessandro Di Battista è ripartito.
Va in Amazzonia.
Niente battute meschine, state calmi, fatevene una ragione: tanto quello è sempre in vacanza.
Primi post su Instagram per farci schiattare di invidia: «Ciao a tutti. Come state?». E come stiamo, Dibba: stiamo al chiodo. Noi. E tu?
«Ora sono a Quito, la seconda capitale più alta del mondo. Nei prossimi giorni discenderò uno degli affluenti del Rio delle Amazzoni e, poi, il “grande fiume” fino all’Oceano Atlantico».
Felpa, zainetto, barbetta da esploratore, già abbronzato, presto con la bandana d’ordinanza: più il solito sguardo piacionesco che si portano dietro un po’ tutti quelli che arrivano da Roma Nord, loro però condannati a Fregene, bruschette con le telline da Mastino e Rolex Submariner, mica come lui.
«Viaggerò dalle Ande all’Oceano, passando per Ecuador, Perù, una piccolissima parte di Colombia e Brasile. Mi aspettano 5.000 chilometri in barca».
alessandro di battista in viaggio
Promette uno dei suoi documentari. Il capolavoro è che riesce ancora a farseli pagare. I soldi li mette TvLoft. A Sky ci sono cascati solo una volta: telespettatori imbufaliti, l’account di Sky Atlantic costretto a rimuovere il tweet con cui annunciava la messa in onda del programma, Aldo Grasso lo definì «Il più brutto dell’anno».
Era l’autunno del 2019. Dibba partì con la moglie Sahra Lahouasnia (all’epoca 31 anni, una delle donne più pazienti del pianeta) e il figlio Andrea, appena cucciolo. Dalla California vennero giù fino in Guatemala, passando per il Chiapas, il Messico, il «caracol zapatista di Oventic». Bus, autostop, carri trainati da muli, giacigli di fortuna. Lui, Dibba, molto nella parte del rivoluzionario: un pomeriggio si collega su Facebook da «un luogo imprecisato» del Sud America (disse proprio così: tipo Subcomandante Marcos, ma senza passamontagna). Poi chiede ospitalità in un villaggio. Ma alcuni ricercatori italiani che lavorano laggiù — era la stagione del governo gialloverde — avvertono i companeros: «Guardate che il tipo impegnato a fare il terzomondista è, in realtà, il leader di un partito che in Italia va a braccetto con la destra». Comincia a girare un hashtag: «DiBattistaFueraYa». Lo inseguono con i forconi. Lui porta in salvo la famiglia, ma — ostinato — continua a spedire alcune corrispondenze al Fatto.
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alessandro di battista in viaggio
Un mito. Il Foglio, in realtà, lo definisce un «mitomane a 5 Stelle». Il New York Times lo inserisce nell’elenco dei politici «ballisti». In effetti, da deputato: promise ai pugliesi di chiudere il Tap in due settimane, suggerì di trattare diplomaticamente con quelli dell’Isis, annunciò che in Grecia decine di cittadini esasperati dalla crisi economica si iniettavano il virus dell’Aids, convinse Luigi Di Maio ad andare in Francia ad abbracciare i gilet gialli (se chiedete a Giggino, oggi che è rappresentate della Ue per il Golfo Persico, vi risponde: «Non ricordo. Di Battista chi?»).
Dibba lo sa. Appena può, in tv, schiuma perciò veleno nei confronti dell’ex sodale e poi riprepara la sacca, fedele al suo personale motto, frase cult del libro A testa in su (Rizzoli): «È la vita che nobilita l’uomo, non il lavoro».
Sebbene lui, chiusa l’esperienza parlamentare, ci abbia pure provato a trovarsi un lavoro: prima, nella piccola azienda del padre Vittorio — «Preferirei essere chiamato camerata Vittorio» — specializzata in ceramiche ramo sanitari per il bagno: però i conti erano in rosso fisso; poi tentò un’esperienza da falegname, «mestiere affascinante, ma, oggettivamente, faticoso»; infine, nell’estate di due anni fa, lo pizzico con il fotografo Claudio Guaitoli a Ortona, sulla spiaggia privata dell’hotel Katia: ombrelloni in fila per nove e una specie di chiringuito con lui vestito da barman che — mentre boccia l’ipotesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi, «Dio ce ne scampi» — spiega i segreti del suo Negroni («1/3 di gin, 1/3 di vermouth rosso, 1/3 di Campari, più una spruzzata di una cosetta che conosco solo io») e annuncia l’uscita del suo ultimo reportage sull’Iran: «Sentieri persiani».
alessandro di battista in viaggio
Perché Dibba viaggia. Non resiste. Il richiamo della vacanza di lavoro lo entusiasma. È stato pure in Russia. Durante la guerra. Una traversata di 13 mila chilometri in treno. Gli occhi di Dibba vedono le bugie che ci raccontiamo da queste parti. La Russia non ha invaso l’Ucraina. E Putin non è un pericoloso criminale. Soprattutto, scopre che «a Mosca non mancano le patatine fritte», e così ci spiega che le sanzioni inflitte al regime sono, di fatto, inutili.
Nient’altro da aggiungere.
Se non che i suoi ultimi post su Instagram hanno già commenti estasiati. La conferma di un pubblico fedele. Che, tra un anno, alle prossime Europee, lo voterebbe in massa (Rocco Casalino e Dibba, insieme, a Bruxelles: ci pensate?).