1. COSA C’È DIETRO CONTE CHE CACCIA SIRI
Alessandro D'Amato per www.nextquotidiano.it
Anche Giuseppe Conte nel suo piccolo s’incazza. Il presidente del Consiglio ieri ha ufficializzato la cacciata di Armando Siri, indagato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta nata dalle indagini della DIA di Palermo su un imprenditore accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e sospettato di aver finanziato la latitanza di Matteo Messina Denaro. E i retroscena raccontano che l’annuncio di ieri è arrivato al termine di un lungo tira e molla con il sottosegretario ai trasporti.
Cosa dietro Conte che caccia Siri
Il Corriere della Sera racconta infatti che Conte aveva chiesto a Siri di dimettersi già tre giorni fa, dopo il loro incontro di persona, lunedì sera. E glielo aveva ripetuto più volte al telefono ieri, incontrando ancora una volta la sua determinazione a resistere.
francesco arata con manlio e vito nicastri
Verso ora di pranzo Siri spiegava così la sua linea al presidente del Consiglio, sperando potesse bastare: «Io resto al mio posto perché sono convinto di poter dimostrare la mia totale innocenza in questa storia. In ogni caso a decidere sarà il governo nella sua collegialità». Dove quella parola, collegialità, stava a indicare che a fare pesare la bilancia del suo destino da una parte o dall’altra non dovesse essere solo il premier Conte ma anche il vicepremier, e suo capo politico, Matteo Salvini.
Non solo. Dopo l’annuncio della conferenza stampa di Conte, Siri ha concordato con Salvini l’ideona del comunicato in cui annunciava le dimissioni tra 15 giorni, un’ideona condita dalla divertente ipotesi che i magistrati potessero “assolverlo” dopo averlo ascoltato. Una sciocchezza, ma se è vero – come afferma un titolo del Corriere di oggi – che Siri ritiene di essere l’inventore della flat tax (in realtà proposta in tempi moderni da Milton Friedman, già utilizzata al tempo dei Medici a Firenze e presente nel programma elettorale di Forza Italia nel 1994, appena 25 anni fa), non è certo la più grossa che ha detto in questi giorni.
Salvini è piuttosto arrabbiato
Secondo Repubblica prima di dar fuoco alle polveri Conte ha cercato Matteo Salvini, senza ottenere risposta. Così entra in sala stampa e dice chiaramente: o dimissioni o decreto. Parlando in punta di diritto dell’interesse che deve perseguire un uomo di governo: quello generale, non quello di singoli partiti. Di Maio ha fatto sponda, ma i problemi cominciano ora:
Anche in tv lancia un appello al ministro dell’Interno: «Superato il caso Siri vediamoci, parliamoci e lavoriamo il più possibile nell’interesse degli italiani». Non dice però come il caso possa essere superato, se non arriverà il passo indietro del sottosegretario. Perché se davvero nel prossimo Consiglio dei ministri, il 7 o l’8 maggio, si andrà a votare un decreto di revoca voluto dal Movimento 5 stelle e non dalla Lega, il governo sarebbe ufficialmente spaccato. Forse finito.
Il capo politico M5S lo sa ma non vede vie d’uscita: il salvataggio di Salvini dalla richiesta di autorizzazione a procedere sul caso Diciotti è già costato carissimo in termini di consenso e di compattezza interna.
Intanto Valeria Pacelli sul Fatto spiega che quando Siri incontrerà i magistrati non sarà un interrogatorio. Tramite il suo legale infatti nei giorni scorsi ha depositato un’istanza ai pm di Roma Paolo Ielo e Mario Palazzi per chiedere di rendere spontanee dichiarazioni.
Atto istruttorio che potrebbe esserci già la prossima settimana (massimo riserbo sulla data) ma che di fatto vede un ruolo non attivo del l’accusa. Infatti con le spontanee dichiarazioni è l’indagato che spiega la propria posizione, che si difende. I magistrati non possono fare alcuna domanda né mostrare le proprie carte, ossia le prove (ancora segrete) raccolte durante le indagini.
La proposta di Siri era quindi una presa in giro, come spesso accade in questi tempi di politici che credono di essere furbi.
La caccia ai 30mila euro
Intanto i magistrati sono a caccia dei 30mila euro di tangente promessi da Paolo Arata in un’intercettazione che secondo La Verità non esisteva, ma in realtà non era stata depositata. Dal punto di vista penale, giova ricordare che secondo la legge non importa che la dazione sia stata effettivamente data o soltanto promessa. Intanto Massimo Luciani, costituzionalista, spiega al Corriere che per l’ok definitivo alle dimissioni di Siri serve la firma del Capo dello Stato.
Ma le dimissioni di Siri quando arrivano? Di Maio ha detto ieri in tv che il prossimo consiglio dei ministri con all’ordine del giorno l’atto verrà convocato l’8 o il 9 maggio. Curioso che l’abbia annunciato lui, visto che la convocazione è prerogativa del premier.
2. SIRI INDAGATO, DA “MAI OCCUPATO DI EOLICO” A “ARATA MI HA DATO L’EMENDAMENTO”: LE TRE VERSIONI DEL SOTTOSEGRETARIO
Da www.ilfattoquotidiano.it del 20 aprile 2019
Giovedì: “Non so assolutamente chi sia questo imprenditore coinvolto, non mi sono mai occupato di eolico in tutta la mia vita. Sono senza parole, credo che si tratti di un errore di persona”. Venerdì: “Ho presentato un emendamento che mi ha chiesto una filiera di piccoli produttori“. Sabato: “Arata mi ha detto che rappresentava un’associazione dei piccoli imprenditori dell’eolico (…) mi ha fatto una testa così e io gli ho detto va bene, mandamelo“. Tre versioni in tre giorni: così sono cambiate le spiegazioni del sottosegretario ai Trasporti Armando Siri sulla vicenda delle norme per favorire l’eolico che lo vede indagato per corruzione.
“Mai occupato di eolico nella vita” – Secondo l’accusa, per presentare quell’emendamento (cosa che tentò di fare più volte, senza riuscire a farlo passare) gli furono promessi 30mila euro dall’ex parlamentare di Fi Paolo Arata, autore del programma di governo della Lega sull’Ambiente e ritenuto socio occulto di Vito Nicastri, imprenditore dell’eolico arrestato con l’accusa di aver contribuito alla latitanza del boss Matteo Messina Denaro. A caldo Siri, ideologo della flat tax cara alla Lega, aveva detto di essere “allibito” perché non aveva idea di chi chi fosse Nicastri. “Non ne sono niente, non so se ridere o piangere. Io non mi sono mai occupato di eolico in tutta la mia vita. Sono senza parole”, era stata la sua reazione.
“Ho presentato un emendamento chiesto dalla filiera” – La versione è un po’ cambiata venerdì, quando il capogruppo della Lega alla Camera Massimiliano Romeo ha confermato come l’emendamento che avrebbe ampliato la platea degli impianti beneficiari tariffe incentivanti fosse stato inviato da Siri, aggiungendo che non c’era nulla di insolito perché “ci arrivano migliaia di emendamenti da parte del governo per presentarli e noi li presentiamo. E, come da prassi, chi ci mette la firma è il capogruppo”.
A quel punto, intervistato a “Punto di Domanda”, il sottosegretario ha raccontato: “Io non so nulla. Ho presentato un emendamento che mi ha chiesto una filiera di piccoli produttori che mi dicevano di essere in difficoltà. Io non ho fatto altro che portarlo negli uffici, li è finito il mio ruolo”. Per poi aggiungere di non aver “mai preso un centesimo” perché “non sono vendibile, non sono comprabile. Chiunque dica una cosa del genere è vittima di suggestioni fantastiche”. Dunque “non sento di dovere lasciare il mio incarico sulla base di illazioni che non hanno fondamento”.
“Arata mi ha fatto una testa così e gli ho detto: Mandamelo” – Oggi però, intervistato dal Corriere, Siri aggiunge un altro particolare: a girargli quell’emendamento caro ai piccoli produttori dell’eolico era stato proprio Arata. “Arata mi ha detto che rappresentava un’associazione dei piccoli imprenditori dell’eolico. Diceva che la filiera era in ginocchio, mi ha fatto una testa così e io gli ho detto va bene, mandamelo. Non sono andato a vedere nel dettaglio“.
Nel dettaglio, l’emendamento diceva che “le tariffe incentivanti e i premi di cui al decreto ministeriale 6 luglio 2012 e ai suoi allegati, del ministero dello Sviluppo Economico, si applicano agli impianti aventi accesso diretto agli incentivi ai sensi dell’articolo 4 comma 3, del medesimo decreto, alla condizione che siano entrati in esercizio fino alla data del 30 settembre 2017 e documentino di aver inviato la comunicazione di fine lavori al competente gestore di rete entro il 30 giugno 2017“, quindi senza rispettare il termine originariamente previsto dalla legge.