Cristina Marconi per “il Messaggero”
La premier Theresa May incoraggia l' approvazione del suo accordo sulla Brexit con il più ambito degli incentivi, ossia quell' addio che in molti hanno cercato di ottenere senza riuscirci per l' ovvio motivo di non avere un piano alternativo. Abbastanza per convincere alcuni storici nemici dell' inquilina di Downing Street, ma non sufficiente per portare dalla sua parte gli unionisti del Dup, troppo avversi alla clausola di salvaguardia sull' Irlanda per appoggiare l' unica soluzione rapida a uno stallo che da ieri sera appare più profondo che mai: nessuna delle otto opzioni alternative votate da Westminster in un voto indicativo ha ottenuto una maggioranza, riconfermando quel senso di spaccatura paralizzante che va avanti ormai da mesi, se non da anni.
OTTO VOLTE NO L' emendamento del decano dei conservatori, Kenneth Clarke, volto a rimanere nell' unione doganale, ha perso per soli otto voti, il secondo referendum è stato bocciato da 295 deputati contro 268, il no deal da 400 contro un numero comunque impressionante, ossia 160, la soluzione mercato comune 2.0 da 283 contro 188, la partecipazione al mercato interno da 377 contro 65, il piano del Labour per un accordo alternativo sulla Brexit da 307 contro 237, la revoca dell' articolo 50 in caso di no deal da 293 contro 184, e la futura relazione commerciale con la Ue in caso di no deal da 422 deputati contro 139 a favore.
È «una grande delusione che la Camera non abbia raggiunto alcuna maggioranza», secondo Oliver Letwin, il deputato conservatore che ha proposto la procedura dei voti indicativi, mentre la pasionaria ex Tory ora indipendente Anna Soubry ha fatto presente in tarda serata che «il paese ci guarda» e ha sottolineato come il secondo referendum e l' unione doganale abbiano raccolto comunque più consensi del deal proposto dalla May.
Deal che potrebbe tornare in aula venerdì per un terzo «voto significativo», qualora il severo speaker della Camera John Bercow desse il via libera trovandolo sufficientemente diverso da quello già presentato nelle settimane passate, forte dell' offerta della premier, che parlando ai suoi deputati ha detto: «So che c' è un desiderio di un nuovo approccio e di una nuova leadership nella seconda fase dei negoziati sulla Brexit e io non mi metterò di traverso».
L' UMORE DEL PARTITO La May ha sottolineato che anche «se non giro per i bar e non partecipo ai pettegolezzi» «ho percepito molto chiaramente l' umore del partito parlamentare» e «sono pronta a lasciare questo posto prima di quando prevedessi per fare ciò che è giusto per il paese» e, non ultimo, «per il nostro partito». Una promessa che ha convinto molti, persino Boris Johnson, ma non gli unionisti nordirlandesi di Dup, sui cui 10 deputati la May è costretta a contare per avere una maggioranza in Parlamento e che in serata hanno fatto sapere che voteranno no all' accordo per via della clausola di salvaguarda per evitare un confine fisico tra le due Irlande e che ha «il potenziale di creare un confine commerciale interno al Regno Unito».
THERESA MAY ALLA CAMERA DEI COMUNI
E quindi, a meno di un cambio di passo tra i laburisti, quello della premier rischia di essere un sacrificio inutile per superare lo stallo sulla Brexit. Il leader Jeremy Corbyn ha commentato polemico l' offerta delle dimissioni, definendole «un rattoppo» improntato a mettere pace in casa Tory e non a garantire «l' interesse nazionale» sulla Brexit.
E il presidente polacco del Consiglio europeo, Donald Tusk, nelle ore precedenti non aveva rinunciato a incoraggiare a mezza bocca la ribellione dei Comuni sui piani B scommettendo sul caos per arrivare a un rinvio lungo e a una rinuncia dell' addio dell' isola all' Unione auspicati a nome della presunta «nuova maggioranza crescente» di persone a favore del remain.
Una maggioranza che viceversa il governo May non riconosce: contrapponendo al milione di manifestanti anti-Brexit sfilati sabato scorso per Londra e ai 5,8 milioni di firmatari della petizione dei record per la revoca dell' articolo 50, il rispetto dovuto «alla democrazia» e alla volontà popolare dei 17,4 milioni di Brexiteers del 2016.