1 – A POCHE ORE DALLA DECISIONE DI BORIS JOHNSON DI BANDIRE HUAWEI DALLA COSTRUZIONE DELLA RETE 5G IL CONSIGLIERE DIPLOMATICO DI GIUSEPPE CONTE, PIETRO BENASSI, HA INCONTRATO IL CONSIGLIERE PER LA SICUREZZA NAZIONALE USA ROBERT O’BRIEN – WASHINGTON STA PESANDO GLI ALLEATI E VORREBBE CHE DA ROMA ARRIVASSE UNA DICHIARAZIONE ESPLICITA ANTI-CINESE
1 – FERMI TUTTI! ECCO COME IL GOVERNO BLOCCA LA CORSA DI HUAWEI E ZTE PER IL 5G ITALIANO
Francesco Bechis per www.formiche.net
Non c’è una formale messa al bando di Huawei e Zte ma nella sostanza lo stop c’è, ed è fortissimo. La stretta del governo italiano sul 5G cinese passa attraverso un documento di tre pagine allegato alla pila di fogli che ha riempito il tavolo del Consiglio dei ministri lunedì 6 luglio.
Si tratta di linee guida, stilate dalla segreteria generale di Palazzo Chigi e dalla commissione di esperti sul Golden power, in accordo con il Dis, per richiedere nuove, stringenti misure agli operatori delle telco italiane che di fatto rendono insostenibile, se non impossibile, la collaborazione con aziende cinesi nella rete 5G.
Il documento, gelosamente protetto dai funzionari di Palazzo Chigi e consegnato esclusivamente ai vertici delle principali compagnie di telecomunicazioni italiane, stila una lista di previsioni obbligatorie per gli operatori che lavorano con fornitori “extra-Ue”.
Esclusi dunque i campioni europei, come Nokia ed Ericsson. Inclusi, in teoria, quelli americani, anche se nel mercato italiano come in gran parte di quello europeo gli unici fornitori extra Ue a competere sono quelli cinesi, Huawei e Zte in testa.
Sono proprio loro che ora rischiano di finire soffocati fra le nuove maglie normative. Tra le novità del monitoraggio obbligatorio, la previsione di poter avere accesso al codice sorgente della rete 5G dei fornitori extra Ue. Spesso chiamata in causa dagli stessi operatori come possibile soluzione per aumentare la sicurezza della rete, la eventuale consegna del codice sorgente (non una tantum, ma potenzialmente ripetuta nel tempo) non era mai stata messa nero su bianco dalla presidenza del Consiglio.
IL TWEET DI DEANNA LORRAINE SU CASALEGGIO LOBBISTA DI HUAWEI
Fra le altre novità, l’obbligo per gli operatori di fornire a Palazzo Chigi un aggiornamento su base settimanale con controlli ripetuti sull’equipaggiamento utilizzato per la rete. Anche in questo caso, una stretta non banale rispetto alla routine cui sono stati abituati finora.
La lista di regole, confida un alto funzionario di Palazzo Chigi a Formiche.net sotto anonimato, è “a dir poco proibitiva” non tanto per i fornitori, quanto per gli operatori che scelgano di operare con realtà cinesi come Huawei o Zte.
Il vantaggio competitivo che alcuni di questi soggetti vantano sul mercato sarebbe insomma annullato da quelle tre, nuove pagine di linee guida cui invece sfuggono operatori europei come Ericsson e Nokia. “La partita per la sicurezza 5G è appena iniziata, ma lunedì si è posta una pietra importante” confida il funzionario, secondo cui “mancano ancora le condizioni politiche” per un chiaro posizionamento del governo contro il 5G cinese.
Il Cdm di una settimana fa, insomma, ha fatto da game changer per la partita per il 5G. In quella stessa seduta, come svelato da Formiche.net, il governo ha deciso di utilizzare i poteri del Golden power sulla fornitura di Huawei a Tim e Windtre, dopo un confronto acceso fra ministri del Pd (Enzo Amendola e Lorenzo Guerini su tutti) e alcuni esponenti del Movimento Cinque Stelle.
lorenzo guerini con mark esper
Le prescrizioni stabilite del governo a carico per ora di Tim e Windtre saranno naturalmente una matrice che sarà estesa a tutti gli operatori che notificheranno le possibili forniture tecnologiche considerate strategiche dalla normativa Golden power.
A brindare per il nuovo orientamento di Palazzo Chigi c’è il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza nazionale, che aveva chiesto una esplicita messa al bando di Huawei e Zte. Insieme alla notizia della scelta di Tim di non invitare Huawei alla gara per la rete 5G “core” in Brasile e Italia, per il Paese si tratta di un robusto cambio di rotta nel rapporto con la Cina. La domanda nei palazzi romani ora è: “Come reagiranno a Pechino?”.
3 – DI MAIO APPOGGIA LA LINEA ATLANTISTA, LA MAGGIORANZA M5S STA CON LA CINA
Francesca Sforza per “la Stampa”
Il pressing degli americani sull'Italia perché prenda le distanze dal 5G cinese «è pazzesco», confida una fonte del gruppo di contatto italiano - composto da tecnici di Palazzo Chigi, Farnesina e Mise - che si sta occupando del dossier.
La decisione della Gran Bretagna di vietare alle compagnie di tlc l'acquisto di nuove apparecchiature prodotte da Huawei, e di concedere tempo fino al 2027 per rimuoverle dalle loro reti 5G risponde infatti alla clausola chiesta dagli Usa di dichiarare le compagnie cinesi «untrusted vendors», fornitori inaffidabili.
Ed è sull'inserimento di questa clausola che gli americani insistono anche con gli altri alleati europei. Al momento l'adesione è arrivata in blocco da alcuni Paesi dell'Europa dell'Est (Polonia, Romania, Estonia, Lettonia e Repubblica Ceca); la Francia, per adesso, l'ha inserita solo per le aziende francesi che operano fuori dal territorio nazionale; ma gli occhi di Washington sono puntati in particolare su Germania e Italia, considerati Stati chiave per orientare gli altri Paesi europei.
«Ci aspettiamo che il governo italiano prosegua il suo processo di digitalizzazione sulla base di criteri di sicurezza obiettivi, indipendenti e trasparenti per tutti i fornitori, preservando la diversità e la concorrenza nel mercato - si legge in una nota ufficiale di Huawei -. La deludente inversione di rotta del governo britannico è stata da quest' ultimo giustificata con riferimento alle sanzioni imposte dal governo statunitense, sebbene non supportate da prove, e non ad alcuna violazione da parte di Huawei.
BORIS JOHNSON USA UN TELEFONO HUAWEI
In tal modo, il governo degli Stati Uniti potrebbe ridurre la varietà dell'offerta nel mercato dei fornitori, danneggiando l'economia digitale europea e minando la sovranità digitale dell'Europa, che include la libertà di scegliere i propri fornitori». La Casa Bianca, d'altra parte, ha detto di accogliere con favore «il crescente consenso internazionale» sulla questione Huawei.
xi jinping con il ceo di huawei ren zhengfei
Che linea prenderà dunque l'Italia? I tecnici, in questa fase, stanno lavorando per costruire un forte impianto giuridico sul perimetro della legge sulla cybersecurity, in modo che a essere salvaguardati siano innanzitutto i criteri di sicurezza del sistema (non l'affidabilità o meno di chi fornisce questa o quella tecnologia).
In questo modo - forti anche della legge sul golden power, che «in caso di grave pregiudizio per gli interessi pubblici» dà al governo strumenti di intervento più consistenti che in passato - il discorso si sposta dalle singole compagnie al rispetto di determinati standard. Sul come questa griglia tecnica verrà orientata, spetta tuttavia alla politica deciderlo, e qui il problema italiano si presenta in tutta la sua evidenza.
Nel governo, infatti, convivono due anime: quella più saldamente atlantista e sensibile alle indicazioni degli Stati Uniti - a cui recentemente sembra essersi unito il ministro degli Esteri Luigi Di Maio - e quella invece più aperta nei confronti dei cinesi - incarnata soprattutto dal M5S - convinta che lo sviluppo industriale italiano non possa prescindere da una stretta collaborazione con Pechino.
Margini d'azione piuttosto ridotti, dunque, tanto che fonti diplomatiche lasciano intendere che stavolta un vincolo esterno europeo aiuterebbe ad uscire dallo stallo. Ed è a Berlino, come spesso accade, che si guarda con maggiore insistenza. Al momento - confermano gli uomini della Cancelliera Merkel - ciascuno guarda cosa fa l'altro nell'attesa che maturi un consenso il più possibile condiviso.
E fra le fughe in avanti delle singole aziende - Deutsche Telekom in prima fila - e le spinte più o meno eccentriche dei singoli governi, ci si attende dal semestre di presidenza tedesca che una linea d'azione sia tracciata anche su questo fronte.
Di nuovo, il dato politico che va emergendo con sempre più forza anche a livello europeo è relativo a questioni di sicurezza: nella misura in cui una determinata azienda è in grado di garantire il rispetto di determinati standard, la competitività delle proprie tecnologie e la non interferenza con i sistemi nevralgici della difesa e della salute pubblica (altro punto sensibile, su cui non ci sono ancora indicazioni univoche), allora si candida ad essere preferita ad altre, indipendentemente dalla sua provenienza geografica. In teoria ci siamo, in pratica molto meno. E a Washington potrebbe non bastare.