Francesco Verderami per corriere.it
Draghi è il nome che ricorre in ogni conversazione. Su Mario Draghi e sull’ipotesi di un governo di unità nazionale discutono i partiti di maggioranza e opposizione. Tutti consapevoli che il Paese sta per affrontare una crisi economica senza precedenti. Ieri sera, dopo l’audizione del ministro Gualtieri in Parlamento, fonti autorevoli del Pd spiegavano che le ipotesi filtrate dall’Economia — e che pronosticano un crollo del Pil per il 2020 tra il 5 e il 7% — fossero da ritenersi «ottimistiche»: «Bisognerà prepararsi a una manovra choc, che non si potrà fare senza un patto nazionale».
LUIGI DI MAIO INCONTRA BEPPE GRILLO A ROMA 6
È ormai evidente che nei prossimi mesi l’Italia si ritroverà — per usare le parole di Mattarella — nelle stesse condizioni in cui si trovò al termine della Seconda guerra mondiale: perciò — ha detto il capo dello Stato — serve «la stessa unità di allora». «E allora — ha chiosato uno dei maggiori esponenti grillini — tutti i partiti parteciparono al governo di ricostruzione...».
roberto gualtieri dario franceschini
Ecco il punto, che è oggetto di discussioni riservate nelle forze di maggioranza: per quanto tempo ancora si potrà chiedere all’opposizione di aderire al principio di «unità nazionale», senza immaginare una loro partecipazione al governo? È una domanda che Di Maio si è posto durante una riunione del Movimento e che per certi versi ha trovato risposta indiretta nella dichiarazione di Franceschini. Se è vero, come ha sostenuto il ministro della Cultura, che «oggi è in campo la Nazionale», allora tutti devono giocare. Il problema sarà da risolvere per tempo, entro l’estate, appena superata l’emergenza sanitaria.
roberto giachetti e goffredo bettini (3)
Nel Pd già si confrontano linee diverse, e ieri Bettini — per difendere Conte — ha tentato di proporre come soluzione «un tavolo permanente» tra partiti di maggioranza e opposizione. Ma a lungo andare il processo di osmosi politica prefigurerebbe comunque uno scenario che dall’«unità nazionale» porterebbe al «governo di unità nazionale».
Non ci sono altre opzioni, persino la strada (teorica) del voto è sbarrata: tra il referendum per il taglio dei parlamentari, l’obbligo di adeguare i collegi e la necessità di varare una nuova legge elettorale, si arriverebbe di fatto al «semestre bianco» della presidenza della Repubblica, quando sarebbe impossibile sciogliere le Camere.
giuseppe conte riccardo fraccaro giancarlo giorgetti
Difficilmente il quadro politico potrebbe reggere così, fino al 2022, in piena emergenza. Ché poi è la tesi dell’altro pezzo del Pd, molto simile all’analisi formulata giorni fa dal leghista Giorgetti: «Il sistema finanziario mondiale era in bolla già prima della pandemia. E il Covid-19 ha fatto esplodere la bolla. Ora, per fronteggiare la crisi, il debito italiano salirà fino al 140-160% di rapporto con il Pil. E dovremo trattare con i mercati e con l’Europa per non affondare. Con tutto il rispetto, mi chiedo: è possibile che questo governo possa affrontare la più grave crisi del dopoguerra? Conoscete la mia risposta».
E si conosce anche il nome. Lo stesso che evoca Salvini quando propone «il meglio alla guida del Paese in questa fase delicata». Quello che per primo spese Renzi quando ancora era in piedi il governo giallo-verde. È Draghi che citano esponenti di rilievo del Pd, appena ricordano come il loro sia «il partito della responsabilità nazionale».
Su Draghi a Palazzo Chigi «non sbaglio se penso che Berlusconi, e insieme a lui Gianni Letta, sarebbero favorevolissimi», dice Casini, che pure conosce le perplessità dell’ex presidente della Bce: «Ma se si venisse chiamati a servire la Patria in certi frangenti, sarebbe difficile sottrarsi».
E il «richiamo alla Patria», non lascia insensibili nemmeno importanti dirigenti di FdI, certi che la Meloni «saprebbe cosa fare» semmai si arrivasse a un simile epilogo. Certo, ci sarebbe da sciogliere il nodo della formula politica di un governo che sarebbe chiamato a gestire la crisi economica, mentre al Parlamento toccherebbe riformare le regole. Ma intanto vanno costruite le condizioni per favorire il disegno, e non dev’essere un caso se ieri il capogruppo del Pd Delrio ha voluto alimentare «il dialogo con le opposizioni, che deve andare avanti».
Al cospetto di chi lo invoca, Draghi ha il profilo giusto e nessuna contro-indicazione politica: finito il suo mandato non sarebbe un competitor dei partiti, perché — come dice un rappresentante dem — «la sua destinazione sarebbe il Quirinale».