1. IL MANIFESTO DI DRAGHI SCUOTE IL PALAZZO MA L'EX GOVERNATORE ALLONTANA LE SIRENE
Alessandro Barbera per “la Stampa”
Per seminare il caos nei palazzi è bastata una lettera. Applaudono Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Renzi. E Matteo Salvini, il più esplicito e sibillino: "Grazie a Mario Draghi per le sue parole. Sono contento di quel che ha detto e di quel che potrà nascere". Nelle ore in cui il leader della Lega pronuncia quello studiato inciso a Palazzo Madama, Nicola Zingaretti - ancora in convalescenza - riunisce in teleconferenza la segreteria Pd per bocciare senza se e senza ma ogni ipotesi di governissimo.
L' imbarazzo con cui la maggioranza accoglie l' intervento dell' ex numero uno della Banca centrale europea rappresenta bene le difficoltà di un Paese stretto fra l' emergenza sanitaria e la tenuta dei conti, gli equilibri politici interni e quelli internazionali. Più che indebolire il governo, la lettera al Financial Times dell' italiano più stimato che c' è fa emergere domande che domani potrebbero sortire quell' effetto: Giuseppe Conte sarà in grado di affrontare i mesi che ci aspettano? Avrà la forza di imporre la manovra tutta in deficit che ha promesso per aprile? E in quali condizioni arriveremo all' autunno, quando l' enorme aumento del debito pubblico diventerà un problema per i mercati?
Raccontano i ben informati che prima di spedire a Londra la mail con il suo intervento, Draghi abbia informato il Quirinale. Una mossa nello stile dell' uomo, e soprattutto la controprova che la scelta del momento non ha a che vedere con quel che accade a Roma, bensì a Bruxelles. Pur non entrando nei dettagli, l' ex banchiere centrale ha alzato la palla a favore di quei nove Paesi che insieme all' Italia premono per far sì che questa emergenza epocale faccia fare un passo avanti all' integrazione europea.
MARIO DRAGHI CHRISTINE LAGARDE
Quando Draghi dice che «in tempi di guerra i debiti aumentano» vuol dire che l' Unione può uscire viva dal coronavirus solo dotandosi di uno strumento comune, gli eurobond. Di questo i leader europei parleranno ancora per giorni, e non è detto che l' esito sia quello auspicato da Draghi, Conte, il presidente francese Macron e quello spagnolo Sanchez: non è un caso se la lettera non ne faccia mai cenno esplicito.
Di esplicito nella lettera c' è invece il sostegno a chi - in Italia e non solo - chiede di fare molto di più per salvare le imprese dalle conseguenze di lungo termine del lockdown e di una recessione che Draghi non esita a definire "profonda". Ecco perché chiede finanziamenti a lungo termine e a tasso zero, ciò che tutti i grandi imprenditori e banchieri stanno chiedendo al governo. Vincenzo Boccia, che a maggio lascerà Confindustria, lo dice tutti i giorni: che accadrà alle imprese che nel giro di pochi mesi saranno costrette a onorare i debiti pregressi senza liquidità?
Fare tutto ciò che è necessario per evitare di trovarci davanti il fantasma degli anni Venti non sarà facile per nessuno, in particolare per il Paese che alla fine di quest' anno avrà un debito lievitato al 150 per cento della ricchezza prodotta. In molti, nelle capitali europee, pensano che solo uno con la credibilità di Draghi possa affrontare una sfida simile, magari attraverso un governo di unità nazionale che abbia dentro tutti, da Meloni a Speranza.
Agli amici lui ripete quel che dice da anni: «Non è il ruolo per me». Ma la storia spesso si incarica di smentire ogni intenzione. Il Quirinale in questo momento non può escludere nessuna ipotesi. E non sarebbe nemmeno la prima volta: accadde con Carlo Azeglio Ciampi prima e Mario Monti dopo.
2. MARIO DRAGHI: «SIAMO IN GUERRA CONTRO IL CORONAVIRUS, DOBBIAMO AGIRE»
L'editoriale di Mario Draghi pubblicato dal ''Financial Times'' e tradotto integralmente dal ''Corriere della Sera''
La pandemia del coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Oggi molti temono per la loro vita o piangono i loro cari scomparsi. Le misure varate dai governi per impedire il collasso delle strutture sanitarie sono state coraggiose e necessarie, e meritano tutto il nostro sostegno.
Ma queste azioni sono accompagnate da un costo economico elevatissimo – e inevitabile. E se molti temono la perdita della vita, molti di più dovranno affrontare la perdita dei mezzi di sostentamento. L’economia lancia segnali preoccupanti giorno dopo giorno. Le aziende di ogni settore devono far fronte alla perdita di introiti, e molte di esse stanno già riducendo la loro operatività e licenziando i lavoratori. Appare scontato che ci troviamo all’inizio di una profonda recessione.
sergio mattarella giuseppe conte 2
La sfida che ci si pone davanti è come intervenire con la necessaria forza e rapidità per impedire che la recessione si trasformi in una depressione duratura, resa ancor più grave da un’infinità di fallimenti che causeranno danni irreversibili. È ormai chiaro che la nostra reazione dovrà far leva su un aumento significativo del debito pubblico. La perdita di reddito a cui va incontro il settore privato – e l’indebitamento necessario per colmare il divario – dovrà prima o poi essere assorbita, interamente o in parte, dal bilancio dello stato. Livelli molto più alti di debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e dovranno essere accompagnati dalla cancellazione del debito privato.
Il giusto ruolo dello stato sta nel mettere in campo il suo bilancio per proteggere i cittadini e l’economia contro scossoni di cui il settore privato non ha alcuna colpa, e che non è in grado di assorbire. Tutti gli stati hanno fatto ricorso a questa strategia nell’affrontare le emergenze nazionali. Le guerre – il precedente più significativo della crisi in atto – si finanziavano attingendo al debito pubblico. Durante la prima guerra mondiale, in Italia e in Germania soltanto una quota fra il 6 e il 15 per cento delle spese militari in termini reali fu finanziata dalle tasse, mentre nell’Impero austro-ungarico, in Russia e in Francia, i costi correnti del conflitto non furono finanziati dalle entrate fiscali. Ma inevitabilmente, in tutti i paesi, la base fiscale venne drammaticamente indebolita dai danni provocati dalla guerra e dall’arruolamento. Oggi, ciò è causato dalle sofferenze umane per la pandemia e dalla chiusura forzosa delle attività economiche.
La questione chiave non è se, bensì come lo stato debba utilizzare al meglio il suo bilancio. La priorità non è solo fornire un reddito di base a tutti coloro che hanno perso il lavoro, ma innanzitutto tutelare i lavoratori dalla perdita del lavoro. Se non agiremo in questo senso, usciremo da questa crisi con tassi e capacità di occupazione ridotti, mentre famiglie e aziende a fatica riusciranno a rimettere in sesto i loro bilanci e a ricostruire il loro attivo netto.
Il sostegno all’occupazione e alla disoccupazione e il posticipo delle imposte rappresentano passi importanti che sono già stati introdotti da molti governi. Ma per proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un periodo di grave perdita di reddito è indispensabile introdurre un sostegno immediato alla liquidità. Questo è essenziale per consentire a tutte le aziende di coprire i loro costi operativi durante la crisi, che si tratti di multinazionali o, a maggior ragione, di piccole e medie imprese, oppure di imprenditori autonomi. Molti governi hanno già introdotto misure idonee a incanalare la liquidità verso le aziende in difficoltà. Tuttavia, si rende necessario un approccio su scala assai più vasta.
Pur disponendo i diversi paesi europei di strutture industriali e finanziarie proprie, l’unica strada efficace per raggiungere ogni piega dell’economia è quella di mobilitare in ogni modo l’intero sistema finanziario: il mercato obbligazionario, soprattutto per le grandi multinazionali, e per tutti gli altri le reti bancarie, e in alcuni paesi anche il sistema postale. Ma questo intervento va fatto immediatamente, evitando le lungaggini burocratiche. Le banche, in particolare, raggiungono ogni angolo del sistema economico e sono in grado di creare liquidità all’istante, concedendo scoperti oppure agevolando le aperture di credito.
Le banche devono prestare rapidamente a costo zero alle aziende favorevoli a salvaguardare i posti di lavoro. E poiché in questo modo esse si trasformano in vettori degli interventi pubblici, il capitale necessario per portare a termine il loro compito sarà fornito dal governo, sottoforma di garanzie di stato su prestiti e scoperti aggiuntivi. Regolamenti e normative collaterali non dovranno ostacolare in nessun modo la creazione delle opportunità necessarie a questo scopo nei bilanci bancari. Inoltre, il costo di queste garanzie non dovrà essere calcolato sul rischio creditizio dell’azienda che le riceve, ma dovrà essere pari a zero, a prescindere dal costo del finanziamento del governo che le emette.
Le aziende, dal canto loro, non preleveranno questa liquidità di sostegno semplicemente perché i prestiti sono a buon mercato. In alcuni casi – pensiamo alle aziende con ordini inevasi – le perdite potrebbero essere recuperabili e a quel punto le aziende saranno in grado di ripianare i debiti. In altri settori, questo probabilmente non sarà possibile.
Tali aziende forse saranno in grado di assorbire la crisi per un breve periodo di tempo e indebitarsi ulteriormente per mantenere salvi i posti di lavoro. Tuttavia, le perdite accumulate potrebbero mettere a repentaglio la loro capacità di successivi investimenti. E se la pandemia e la chiusura delle attività economiche dovessero protrarsi, queste aziende resterebbero attive, realisticamente, solo se i debiti contratti per mantenere i livelli occupazionali durante quel periodo verranno alla fine cancellati.
O i governi risarciranno i debitori per le spese sostenute, oppure questi debitori falliranno, e la garanzia verrà onorata dal governo. Se si riuscirà a contenere il rischio morale, la prima soluzione è quella migliore per l’economia. La seconda appare meno onerosa per i conti dello stato. In entrambi i casi, tuttavia, il governo sarà costretto ad assorbire una larga quota della perdita di reddito causato dalla chiusura delle attività economiche, se si vorrà proteggere occupazione e capacità produttiva.
I livelli di debito pubblico dovranno essere incrementati. Ma l’alternativa – la distruzione permanente della capacità produttiva, e pertanto della base fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia e, in ultima analisi, per la fiducia nel governo. Dobbiamo inoltre ricordare che in base ai tassi di interesse presenti e probabilmente futuri, l’aumento previsto del debito pubblico non andrà a sommarsi ai suoi costi di gestione.
Per alcuni aspetti, l’Europa è ben attrezzata per affrontare questo shock fuori del comune, in quanto dispone di una struttura finanziaria capillare, capace di convogliare finanziamenti verso ogni angolo dell’economia, a seconda delle necessità. L’Europa dispone inoltre di un forte settore pubblico, in grado di coordinare una rapida risposta a livello normativo e la rapidità sarà assolutamente cruciale per garantire l’efficacia delle sue azioni.
Davanti a circostanze imprevedibili, per affrontare questa crisi occorre un cambio di mentalità, come accade in tempo di guerra. Gli sconvolgimenti che stiamo affrontando non sono ciclici. La perdita di reddito non è colpa di coloro che ne sono vittima. E il costo dell’esitazione potrebbe essere fatale. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni Venti ci sia di avvertimento.
La velocità del tracollo dei bilanci delle aziende private – provocate da una chiusura economica al contempo doverosa e inevitabile – dovrà essere contrastata con pari celerità dal dispiegamento degli interventi del governo, dalla mobilitazione delle banche e, in quanto europei, dal sostegno reciproco per quella che è innegabilmente una causa comune.