Marco Imarisio per il "Corriere della Sera"
«Non ci rivolgiamo ai partiti e ai movimenti che fino a oggi hanno mal governato la città, non perseguiremo accordi e alleanze fuori dal perimetro politico già da tempo definito, non ci interessano gli equilibrismi, le alchimie e i tatticismi legati a logiche nazionali».
CHIARA APPENDINO GIUSEPPE CONTE VALENTINA SGANGA
Nero su bianco, firmato in calce da Stefano Lo Russo, candidato del centrosinistra. Correva il 24 agosto, le aspettative erano ben diverse dal risultato del primo turno di lunedì, anzi erano l'opposto, e peggio ancora.
I voti dei Moderati, creatura torinese di Giacomo Portas, erano acqua nel deserto dei sondaggi. Il deputato ormai di lungo corso, è giunto alla terza legislatura, era uscito dal gruppo del Pd due anni prima, dopo essersi rifiutato di votare la fiducia al secondo governo di Giuseppe Conte, che stipulava l'alleanza dei democratici con i Cinque Stelle.
giuseppe conte chiara appendino
Quel documento di due pagine rappresentò una disperata mossa del cavallo da parte di Lo Russo, che tutto poteva permettersi tranne di lasciar correre da soli i Moderati e il loro pacchetto di voti, che dal 3,4% raccolto lunedì scorso, in splendida solitudine sarebbe invece lievitato dissanguando ancora di più la coalizione di centrosinistra. Gli alleati più fedeli alla linea giallorossa, a cominciare dai vertici del Pd, non ne furono felici, tutt' altro.
A Chiara Appendino invece quella dichiarazione di intenti, una scrittura privata alla quale veniva addirittura assegnato un valore legale, non dispiacque affatto. Era la certificazione dell'impossibilità di fare accordi non con il Partito democratico, ipotesi alla quale lei si è sempre dichiarata favorevole in linea di principio, ma con «quel» candidato del Pd.
CHIARA APPENDINO E STEFANO LO RUSSO
Il professor Lo Russo rappresenta infatti la sua nemesi privata. In quanto capogruppo democratico in Consiglio comunale, ha fatto una opposizione durissima per cinque anni al nuovo corso pentastellato, fino a denunciare in procura per abuso di ufficio la quasi ex sindaca di Torino, aprendo la strada alla condanna che le ha impedito di ripresentarsi. Quel documento la sollevava in qualche modo da una incombenza alla quale si sentiva obbligata dal nuovo corso di Giuseppe Conte, da lei abbracciato con convinzione.
Non è un caso che anche l'ex avvocato del popolo ripeta appena può che a Torino esiste un «accordo scritto» contro il M5S. Il passato torna sempre a far sentire il suo peso. Anche per Virginia Raggi, che ha subito chiuso la porta con una certa veemenza non soltanto all'apparentamento con il Pd per il ballottaggio, ma anche solo a un mero silenzio-assenso come indicazione di voto.
Le due sindache che nel 2016 furono l'avamposto dell'avanzata del Movimento 5 Stelle, il fiore all'occhiello di Beppe Grillo, condividono il destino di essere ormai il principale ostacolo a una intesa elettorale senza la quale, se i ballottaggi di Roma e Torino dovessero andare male per il centrosinistra, sarebbe la fine del mondo immaginato da Conte e dal Pd. Ma le loro parabole sono ben diverse, anche nella fase conclusiva.
CHIARA APPENDINO GIUSEPPE CONTE
Se Appendino ha tentato di essere fedele alla linea dell'ex presidente del Consiglio, cercando candidature alternative al detestato Lo Russo, Raggi ha sempre corso da sola, più vicina all'ortodossia delle origini e quindi senza mai neppure considerare il Partito democratico, che l'ha ricambiata con passione.
In archivio si contano cinque denunce alla magistratura e quindici richieste di dimissioni in cinque anni, invocate dai capigruppo democratici e in un paio di occasioni accompagnate dall'occupazione dell'Aula consiliare. E ancora oggi, non tenere conto della sua opinione significherebbe innescare una potenziale scissione dei puri e duri che Conte non può certo permettersi.
Con i ballottaggi all'orizzonte, riemergono pulsioni che solo la politica nazionale decisa a tavolino può illudersi di gestire. Anche perché da vicino, si vede in modo ben diverso che da lontano. «Io credo che Lo Russo mi dovrebbe ringraziare» sostiene Portas, l'artefice del documento che a Torino rende vana ogni eventuale trattativa sui voti pentastellati.
«Perché è stato proprio l'allontanamento dal M5S e da ogni possibile tentazione di accordo a renderlo più forte da quel momento. Non lo dico solo io, lo dicono i numeri. Non si è mai visto il partito della sindaca uscente prendere una percentuale così bassa. I torinesi, e il Nord in generale, hanno preso le distanze dai Cinque Stelle». Che sia per fatto personale o per una semplice questione politica, con il passato funziona così. Puoi fingere di ignorarlo, ma torna sempre.
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