Francesco Verderami per corriere.it
I partiti che sostengono il governo hanno un elemento in comune: sono tutti rotti. L’unica differenza è che c’è chi si azzuffa in risse da saloon e chi cerca di regolare i conti lontano da occhi indiscreti. Ma nessuno riesce a dissimulare la propria condizione di precarietà, perché una faglia attraversa in modo trasversale la Lega, il Movimento 5Stelle, il Pd, Forza Italia, persino Iv e la galassia dei centristi: tutti si trovano davanti allo stesso bivio e tutti sono divisi sul percorso da intraprendere.
Da una parte ci sono quelli che vorrebbero incamminarsi sulla strada del «draghismo senza Draghi», immaginando una versione aggiornata e virtuosa della Prima Repubblica. Dall'altra ci sono quelli che più semplicemente rivogliono il pallone indietro e puntano sul ritorno al bipolarismo.
Ecco il motivo delle continue scosse: c’è da compiere una scelta strategica. In questo senso — come dice un dirigente dem — «Letta è più vicino a Salvini che a Di Maio, che a sua volta ha più punti in comune con Giorgetti rispetto a quanti ne abbia con Conte». Non a caso Bersani ha denunciato giorni fa il centrodestra, reo di voler usare lo snodo del Colle per poter andare al voto anticipato. Ma ha aggiunto che «anche un pezzo del centrosinistra medita la stessa cosa». E siccome Bersani conosce il Pd per averlo frequentato, è chiaro a chi si riferisse. D’altronde il primo chiarimento al bivio si avrà con l’elezione del capo dello Stato.
giuseppe conte a in mezzora in piu 8
Ieri Salvini ha incrociato Draghi in aeroporto, in attesa di prendere lo stesso volo per Milano. C’è stato solo un breve scambio di saluti, perché sul Quirinale non è ancora venuto il momento di discutere. Avrà la sua buona dose di ragioni Lupi a stupirsi, sentendo i leader di partito prendere tempo sul tema che più appassiona il Palazzo: «Mancano di fatto poche settimane alla scelta del prossimo presidente della Repubblica. Quando dovremmo parlarne: durante le feste di Natale?». Sarà proprio intorno a quella data che le forze politiche conosceranno il pensiero del premier, come ha fatto chiaramente intendere l’altro ieri Salvini durante il vertice della Lega. E quel passaggio sarà rilevante ma non risolutivo. Al bivio si arriverà subito dopo.
GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI
Si spiegano così i contrasti nel Carroccio, visto che il suo capo — se non ci fosse più Draghi a palazzo Chigi — avrebbe in animo di lasciare la maggioranza. E c’è chi nel partito lo mette in guardia, perché l’assenza dall’eventuale futuro governo provocherebbe la rottura di un pezzo di Forza Italia e di (quasi) tutti centristi. E soprattutto esporrebbe la Lega al rischio di una legge elettorale ostile, che la condannerebbe all’isolamento.
Dall’altro lato Letta avrà il problema opposto. La discussione del gruppo dem al Senato — dove a sentire un testimone «se le son date di santa ragione» — è stata la fiera del non detto: «Si parlava di legge Zan ma tutti pensavano al Quirinale, alla legge elettorale, alla durata della legislatura, ai posti in lista».
luigi di maio e roberto speranza al compleanno di pierluigi bersani
Il fatto che la riunione del Pd fosse blindata e che la capogruppo appena eletta abbia messo a disposizione il proprio incarico, oltre a dare un segno di debolezza, ha reso l’idea del clima tra i democrat. Perché è scontato che la rottura dei «moderati» dai «populisti» e la conseguente nascita di un altro esecutivo, avverrebbe solo sull’altare di una legge elettorale proporzionale.
Uno scenario di fatto anticipato da Boccia, che è membro della segreteria pd, e che nell’ultima direzione ha svolto un’orazione sull’Ulivo: «Il nostro glorioso passato». In quel caso però verrebbe meno lo schema del «nuovo Ulivo» a cui lavora Letta, e con esso svanirebbe l’identità maggioritaria del Pd. È il bivio. E nell’attesa di decidere da quale parte andare, uno dei più autorevoli dirigenti avvisa il Nazareno: «Le urne sarebbero una scelta da avventurieri».
Giusto per capirsi. Restano Forza Italia — che sembra la vittima predestinata di un’imminente spartizione, quasi fosse la Polonia del 1939 — e i grillini, che scaricano le loro divergenze sulle questioni di potere interno. I primi nelle scorse settimane sono arrivati a prendersi a parolacce, incrociandosi alle riunioni. I secondi duellano ferocemente sulla scelta dei capigruppo. È il derby tra Conte e Di Maio, che se va a cena con Giorgetti è perché insieme condividono come andrebbe affrontato il bivio.
giuseppe conte a in mezzora in piu 5 di maio giorgetti LA CENA GIORGETTI-DI MAIO VISTA DA OSHO ENRICO LETTA