Massimo Colaiacomo per la Repubblica
l'estate romana di renato nicolini
Renato Nicolini Il padre Roberto, architetto, progettò per l'Istituto Fascista Autonomo Case popolari alcune borgate romane, una delle quali, il Quarticciolo, era il simbolo stesso del regime, con la torre, al centro del quartiere, in cui era ospitata la Casa del fascio. Tutt' intorno erano stati tirati su palazzi più o meno anonimi per ospitarvi famiglie numerose, invalidi, combattenti fascisti. Nel dopoguerra, al pari di altri quartieri periferici anche il Quarticciolo conobbe la piaga di un inurbamento incontrollato, e il degrado camminava sottobraccio alla speculazione edilizia negli anni '50-'60, gli anni del "sacco di Roma".
Il figlio di Roberto, Renato Nicolini, architetto sulle orme paterne, molti anni dopo, realizzò un'idea in apparenza stravagante, e che tale dovette apparire non solo ai suoi avversari politici, ma anche a qualcuno dei suoi sostenitori. Assessore alla Cultura del Comune di Roma nel periodo 1976-1985, nelle amministrazioni di sinistra di Giulio Carlo Argan, Luigi Petroselli ed Ugo Vetere, Nicolini buttò lì una terapia nuova contro il degrado urbano, mai prima sperimentata.
Non era questione per lui di ridefinire il profilo di un quartiere o di una strada. No. Nicolini concepì un percorso diverso: il riscatto contro la decadenza di ogni spirito sociale doveva muovere da un ritrovato spirito comunitario, dal coinvolgimento delle persone nella fruizione collettiva di spettacoli, mostre, film, concerti. In una parola, la cultura doveva farsi basso-mimetica per incanalarsi lungo percorsi inesplorati. Il tutto da celebrare all'aperto, in luoghi simbolo, come Piazza Farnese, la Basilica di Massenzio o l'Isola Tiberina o Villa Celimontana.
Renato Nicolini con Achille Bonito Oliva
Con l'obiezione, non del tutto infondata, dei suoi avversari: e i quartieri e le borgate non hanno lo stesso diritto di cittadinanza per consumare cultura? Obiezioni che fecero breccia, se è vero che da lì a qualche anno lo spettacolo diffuso sul territorio raggiunse l'estrema periferia.
La scelta di luoghi simbolo, tutti al centro di Roma, aveva però una spiegazione forte e inappuntabile: l'Estate romana aveva l'ambizione di uscire fuori del perimetro cittadino, imporsi come un evento di grande richiamo per i turisti e un pubblico giovanile che anche solo per pochi giorni raggiungeva la Capitale da ogni angolo del Paese.
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L'energia, la creatività, il gusto di sperimentare nuove forme di comunicazione e di socialità fino allora inespresse furono il propellente di un successo straordinario. L'assessore dell'" effimero", come venne sbrigativamente incasellato, aveva colto un dato di fondo della società italiana, impietrita in quegli anni di fronte alla minaccia del terrorismo: la povertà degli stimoli culturali, la tendenza a chiudersi come reazione al clima plumbeo voluto da chi sparava e uccideva in nome di un delirio rivoluzionario.
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Nicolini intuì tutto questo, vedeva gli sbreghi di un tessuto sociale logorato ed elaborò la sua terapia. Il Napoleone di Abel Gance, opera monumentale del cinema muto, cessò di essere un film riservato ai cinéphiles e venne proiettato alla Basilica di Massenzio per essere visto da migliaia di persone. Il complesso delle iniziative non era privo di qualche sfumatura, inevitabile, di populismo a buon mercato. Era un rischio da correre e Nicolini lo corse.
Si farebbe un torto al personaggio se si limitasse la sua memoria all'Estate Romana. Perché Nicolini fu militante e iscritto, non sempre accomodante, del Pci e poi del Pds, deputato dal 1983 al 1994, assessore alla cultura a Napoli, con Antonio Bassolino sindaco. Erano però cambiati i tempi e l'effimero non era più moneta corrente. Nell'agosto 2012, alla sua morte, Nicolini è stato ricordato con partecipazione anche da chi ne aveva contrastato le sue iniziative. Gli è stato riconosciuto, sia pure postumo, come impone un certo cinismo, quel ruolo di innovatore che aveva saputo restituire alla politica una capacità di indirizzo della società.
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