Andrea Bonanni per “la Repubblica”
Le bugie, come dicono anche le nonne, hanno le gambe corte. Quelle con cui Giorgia Meloni ha cercato di presentarsi all'opinione pubblica internazionale come una europeista liberale non sono arrivate fino alle elezioni. Il voto della Lega e di Fratelli d'Italia nel Parlamento europeo a favore di Orbán e del regime ungherese indicano con chiarezza da quale parte della barricata sta l'estrema destra italiana. Non c'è nulla di male.
Si può essere contro la Ue, contro il sistema di garanzie dello stato di diritto, contro le libertà che vengono quotidianamente negate in Ungheria e Polonia, contro il sistema di valori europei.
Nelle vere democrazie, non come quella ungherese, ogni dissenso è legittimo. Basta dirlo. Quello che non si può fare, però, è cercare di conquistare il potere conferito da libere elezioni dissimulando la propria natura e le proprie convinzioni: la democrazia è un campo di gioco sul quale è vietato barare.
Ma la vera domanda che dovremmo porci è perché Meloni e Salvini abbiano deciso di gettare alle ortiche la maschera moderata con cui avevano scelto di presentarsi agli elettori. Se, come dice il co-fondatore di Fratelli d'Italia Guido Crosetto, «a Giorgia Meloni dell'Ungheria non interessa nulla», perché buttare al vento mesi di interviste tranquillizzanti ai grandi giornali internazionali, di convegni e incontri più o meno pubblici con l'establishment finanziario, di mezze apostasie come quella sulle radici fasciste del partito?
viktor orban incontra matteo salvini a roma
Mario Draghi ha ragione da vendere quando cerca di spiegare a Meloni che «l'interesse nazionale dell'Italia», tanto caro alla leader del cartello di destra, sta nell'alleanza con Paesi democratici come la Francia e la Germania, e non con regimi autoritari come l'Ungheria e la Polonia.
Ma forse, per una volta, il capo del governo pecca di ingenuità nell'indicare le evidenti opportunità di tale scelta di campo. L'opportunismo di Meloni e Salvini, infatti, si limita strettamente alla dissimulazione necessaria durante la campagna elettorale. Per il resto, sia l'uno sia l'altra sanno perfettamente di essere pedine cruciali nella sfida globale che ha per posta il futuro delle democrazie liberali. E giocheranno fino in fondo la loro partita.
Oggi una larga parte del Pianeta, a cominciare dalla Russia e dalla Cina, è impegnato in questo braccio di ferro che si combatte dentro e fuori i confini dell'Occidente. E se gli Stati Uniti sono alle prese con il fantasma incombente di Trump, che ha gestito il ridimensionamento dell'egemonia americana dalla Siria alla Libia all'Afghanistan, l'Europa deve misurarsi con gli amici dell'ex presidente americano a Budapest, a Varsavia, ma anche a Parigi, a Madrid e soprattutto a Roma.
viktor orban incontra matteo salvini a roma
La decisione della Commissione, annunciata da Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell'Unione, di voler lanciare una legge sulla libertà dei media e uno strumento per smascherare le ingerenze esterne nella politica dei Paesi Ue dimostra che Bruxelles è ormai ben consapevole della portata e della natura della sfida in atto.
Anche la risoluzione del Parlamento europeo, secondo cui l'Ungheria non può più considerarsi una democrazia, è la riprova che i partiti democratici hanno capito come la sfida lanciata contro il sistema di valori della Ue non debba più essere ignorata. Meloni e Salvini sono parte integrante di questa sfida. Ecco perché non possono, e non vogliono, dissociarsi dal regime di Orbán .
giorgia meloni con viktor orban
Del resto la spiegazione data dalla leader di Fratelli d'Italia, secondo cui la condanna del governo ungherese è «politica» e pretestuosa, prefigura già la posizione che un futuro governo delle destre populiste italiane si prepara ad assumere di fronte ai rilievi che gli arriveranno da Bruxelles. È lo stesso atteggiamento vittimista e sprezzante manifestato da Orbán quando ha definito «una barzelletta» la risoluzione del Parlamento.
Qualsiasi critica ci verrà dall'Europa, sui conti pubblici come sul blocco navale contro i migranti, sulla tutela delle corporazioni protette come sui condoni fiscali, sarà derubricata, come già fece a suo tempo Berlusconi, ad attacco politico e a complotto anti-italiano. Il rifiuto dell'Europa, per Meloni come per Orbán , comincia dal rifiuto di una sintassi comune di regole e di valori condivisi. Ma l'obiettivo ultimo, che piace a Putin e a Xi Jinping, è il rifiuto della democrazia liberale come sistema di autogoverno dei popoli.