Tonia Mastrobuoni per “la Repubblica”
Caroselli di macchine strombazzanti per i centri di Amburgo e Berlino, bandiere turche sventolate dai finestrini: per gli erdoganisti in Germania il risultato del referendum è stata una festa. Ma per misurare quanto sia spaccata la comunità turca in Germania era sufficiente andare nelle stesse ore a Kreuzberg o Neukoelln, nei ristoranti e nei locali del "no", dei kemalisti o dei curdi, dove lo spoglio era stato seguito con angoscia crescente dalle tv appese ai muri e la serata era finita con facce lunghe e lacrime.
TURCHIA - SOSTENITORI DI ERDOGAN
Ed è questo uno dei motivi per cui la leader del Paese con la più grande comunità turca all' estero, Angela Merkel, ha preferito usare toni cauti, nei primi commenti al referendum che promette la stretta autoritaria in un Paese già flagellato dall' autarchia crescente del suo presidente Erdogan.
In un comunicato congiunto con il suo vice e ministro degli Esteri, Sigmar Gabriel, la cancelliera ha avvertito Ankara che il governo tedesco «si aspetta che dopo una dura battaglia referendaria il governo turco cerchi un dialogo rispettoso con tutte le forze politiche e sociali del Paese». E già prima che arrivassero le notizie di gravi irregolarità attestate dagli osservatori dell' Osce, la nota faceva sapere di attribuire «molta importanza a questa analisi». Anche sul referendum, il governo ha ricordato che «la Commissione Venezia del Consiglio d' Europa ha già espresso dubbi gravi sui contenuti di questa riforma costituzionale». L' invito a Erdogan è a «tenerne conto».
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È vero, del milione e quattrocentomila turchi che avrebbero potuto votare, neanche la metà lo ha fatto, il 46,2%. Tuttavia la stragrande maggioranza ha scelto la svolta autoritaria per il proprio Paese di origine: il 63,1%. Un déjà vu delle presidenziali del 2015, quando la maggioranza votò per Erdogan, ma neanche un turco- tedesco su due si recò alle urne.
E i risultati simili arrivati dall' Olanda (68%), dall' Austria (73%) o dalla Francia (68%) fanno pensare a un contributo importante dall' estero alla vittoria del Raìs. Anche se i dati dicono che non è stato decisivo: il 59% dei turchi all' estero ha votato per il referendum, garantendo 175mila voti di vantaggio per il "sì". Ma in patria Erdogan ha vinto con un margine di 1,3 milioni di voti.
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Impressionante la percentuale nelle ex città industriali come Essen, dove tre quarti dei turchi hanno votato pro Erdogan. Il commento del sindaco, Thomas Kufen, è tra l'incredulo e lo scioccato: «Votano per un sistema nel quale non vorrebbero mai vivere». Attorno al 65% il "si" anche in un' altra città industriale, nella 'capitale dell' auto' Stoccarda, ma anche Colonia e Duesseldorf, dove l' immigrazione turca è antica, ma l' integrazione nasconde sacche di intolleranza islamica e, nelle città vicine come Wuppertal, roccaforti del salafismo. Il presidente dell' Associazione dei turchi in Germania, Gokay Sofuoglu, ha espresso ad alta voce quello che molti pensano: «bisogna trovare il modo di raggiungere queste persone che vivono in un Paese libero come la Germania e si esprimono a favore di un' autocrazia in Turchia».
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Durissima la reazione dell' esponente della Linke, Sevim Dagdelen, che forse fornisce una chiave di lettura dell' incredibile risultato tedesco: «È il risultato che la Germania ha tollerato per anni la rete di Erdogan in Germania, ha persino coinvolto le sue organizzazioni nelle politiche dell'integrazione. E adesso è arrivato il conto per questa integrazione sbagliata».
Le reti erdoganiste, ha aggiunto, «vanno distrutte». Ma forse un'altra spiegazione può venire da uno studio di tre politologi di Muenster, Olaf Müller, Gergely Rosta e Anny Dieler, che rileva come il 90% dei turchi si senta "molto a suo agio" in Germania, ma che solo il 44% pensi di avere le stesse opportunità dei tedeschi.
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Da notare che il 40% del campione è nato in Germania. I tre hanno concluso che dopo oltre mezzo secolo di immigrazione e integrazione, i turchi si sentano ancora "cittadini di serie B". E in tempi di presidenti che hanno fatto dell' Islam un punto di battaglia politica, è anche importante notare come i turchi di seconda e terza generazione si dicano più spesso musulmani osservanti dei loro genitori e nonni, il 72% contro il 62%. È diventato un fatto identitario.