Estratto dell'articolo di Danilo Taino per il “Corriere della Sera”
assemblea generale dell ufficio internazionale delle esposizioni annuncio expo 2030
Martedì scorso si è palesato in Italia il Sud Globale. La votazione per l’Expo 2030 — che ha visto Roma raccogliere nel mondo solo 17 voti contro i 119 della saudita Riad e i 29 della sudcoreana Busan — è stata letta da molti come il trionfo di quei Paesi non riconducibili a Occidente e alleati e nemmeno a un ipotetico blocco attorno alla Cina: appunto il Global South.
Al di là delle valutazioni su come il voto si è sviluppato (compravendita di consensi, promesse tradite, coercizioni, interessi commerciali, influenza internazionale dell’Italia), è interessante domandarsi se esiste davvero un’entità Sud Globale oppure se questo è un marchio generico sotto al quale sta di tutto. [...]
Adesso, nell’era della sfida per l’egemonia tra Occidente e Cina, Sud Globale è diventato un concetto usato per descrivere l’emergere di un potere terzo tra quello di Washington e quello di Pechino. In realtà, semplifica troppo.
Il Carnegie Endowment for International Peace ha di recente notato che del Global South fanno parte Paesi diversissimi come la Malesia, con un reddito pro capite di 28.150 dollari, e lo Zambia, con 3.250 dollari. Il Costa Rica all’avanguardia ambientale e il petro-Stato Nigeria. La Siria e il Sud Sudan, che nella classifica di Freedom House sono al minimo (punteggio uno ) per libertà civili e democratiche e l’Uruguay ( 96 ).
Il Global South è insomma composito in termini di economia, cultura, sistemi di governo, geografia e interessi nazionali.
Come si è visto nel voto all’Onu sulla guerra in Ucraina, quando si è diviso tra astenuti e critici della Russia. È un brand con una forza evocativa che può influire su Expo 2030, ma non è un’entità politica.
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