Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” - Estratti
DALEMA AL PORTO DELLA MADDALENA CON LA BARCA CHE BATTE BANDIERA INGLESE
Ecco, ci risiamo, la sinistra al caviale, i radical chic, i salotti buoni, la puzza sotto il naso, il cashmere, Capalbio, la Ztl, i comunisti col Rolex — e su quest’ultimo improperio, ma più ancora sullo status symbol ostentato al polso, conoscendo un po’ i polli ruspanti della destra di governo s’affaccia il dubbio che nel dileggio giochi anche un po’ d’invidia.
Ma solo un po’.
Per il resto la sinistra al caviale è automatismo, ritornello, luogo comune che il lungo corso delle polemicuzze ha irrancidito senza fargli perdere quel retrogusto che l’odierna temperie populista ha rilanciato senza freni. Gauche caviar, alla francese, prodotto d’importazione per eccellenza, “io invece mangio pane e Nutella” s’inorgoglì un giorno l’insaziabile Salvini all’insegna del gastro-sovranismo instagrammabile.
Meloni arriva tardi. Gli archivi dilatano le frasi fatte spintonandole verso ciò che apparentemente non merita.
Già nella seconda metà degli anni 80 il craxiano Ugo Intini attaccava la sinistra snob, nel decennio seguente Cossiga se la prese con “gli champagnoni” del Pds, poi Vittorio Feltri con “i girotondini da superattico”, quindi il ministro Rotondi arrivò a scagliare un anatema rafforzato contro il “salottone della nouvelle cousine”. Nel vuoto di ideali e progetti, oggi riempito da un moralismo battagliero ed estetizzante, tornano in uso antichi misfatti e attrezzi retorici in forma caricaturale, vedi l’indebito caviale e il redivivo olio di ricino.
eugenio scalfari con furio colombo a capalbio
Ma attenzione: quando le cose si ripetono fino a farle entrare in circolo e poi nel canone delle ripicche, di solito qualche ragione c’è. Anche Emanuele Macaluso riconobbe che esisteva “il richiamo del caviale”. Oggi la nostalgia cinematografica di Berlinguer, leader dal tratto decisamente monacale, e le disavventure di un dirigente di antica scuola beccato con una boccetta di Chanel in saccoccia sembrano due segni di un cedimento inoppugnabile. A maggior ragione se si pensa che anche Berlusconi, uno degli uomini più ricchi d’Italia, a suo tempo accusò la sinistra di “pasteggiare a caviale”; per poi aggiungere — e non si poteva dire meglio — che i suoi capi “avevano perso il contatto con i più poveri”.
Esito, quest’ultimo, che certo non assolve la destra dalla sua grossolana voracità, pure di stomaco, culminata nel cosiddetto “patto della pajata” (2010): polenta purulenta e maccheroni sbrodolosi distribuiti al popolo sotto Montecitorio con coro terminale de “la società dei magnaccioni”.
Ora, nella mutazione elitaria della sinistra è possibile abbia pesato parecchio l’esempio di D’Alema: non solo le scarpe da un milione, le camicie con le cifre e il cane che faceva agility, ma anche e soprattutto il flirt con Vissani e gli incredibili menu di Palazzo Chigi, “trancio di ragno con ravioli al finocchietto...”.
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