Filippo Fiorini per “La Stampa”
Sono molte le realtà che compongono la comunità LGBT+ italiana e ognuna ha una visione del mondo. Da ieri, però si sono venuti a creare due schieramenti: chi crede che gli omosessuali nelle forze dell'ordine abbiano diritto di manifestare al Pride di Bologna, domani, esponendo gli striscioni della loro associazione e quelli che invece pensano che per tradizione della marcia e critica al sistema, possano farlo solo deponendo le insegne e sfilando come semplici partecipanti.
Il problema, è che la seconda di queste due scuole di pensiero si è imposta nelle assemblee di preparazione all'evento e il comitato organizzatore, Rivolta Pride, ha detto di non avere nulla contro il gruppo di poliziotti e soldati LGBT+ di Polis Aperta, ma di non volere che si presentino ufficialmente come tali.
«Ci hanno proprio detto di non scomodarci a venire - racconta Daisy Melli, di Polis Aperta - Rivolta Pride ha prima fatto un comunicato in cui invitava chi fa il mestiere delle armi a non presentarsi al Pride con bandiere o simboli dell'associazione. Poi, l'ha sostituito con uno meno aggressivo, ma la sostanza è quella».
Il fatto viene confermato da Camilla Ranauro, prima presidente donna dell'Arcigay Bologna e una delle portavoce della manifestazione: «Abbiamo voluto correggere il tiro per spiegare, è un discorso complesso».
Innanzitutto, c'è la tradizione: «Il primo Pride della storia è stato nel '69 a New York - continua Ranauro - dopo l'ennesima retata della polizia allo Stonewall Inn, un bar gay frequentato da trans nere e prostitute, in virtù di una legge che vietava agli uomini di vestirsi da donne, loro hanno reagito lanciandogli delle bottiglie».
Poi, c'è la politica. Rivolta Pride è andata oltre i confini delle lotte LGBT+ e contesta l'ordinamento sociale: «Noi parliamo di tanti temi. Lavoro, migranti e ne parliamo non solo in termini LGBT - spiega la portavoce - non possiamo quindi evitare di criticare anche le istituzioni e la polizia. Viviamo tutta una serie di discriminazioni che ci fanno arrabbiare, tutto il sistema è pensato per escludere le persone LGBT».
Da Polis Aperta, ribattono che il loro scopo è proprio sensibilizzare e formare: «Ieri abbiamo iniziato un corso per agenti che si devono rapportare coi crimini d'odio, presso la scuola della Polizia Locale di Toscana, Emilia e Liguria».
Ma allora, se le idee sono affini, perché non c'è accordo? «Perché Polis Aperta non si è mai confrontata con Rivolta Pride - dice Ranauro - non sapevamo se concordava con noi o no. Di base, c'è la naturale diffidenza verso un'istituzione violenta come la polizia».
Le stesse posizioni sono state assunte anche da chi organizza il Pride di New York, da cui gli appartenenti alle forze dell'ordine sono stati esclusi fino al 2025. Lì come qui, molti hanno gridato alla discriminazione da parte di chi dovrebbe combatterla. Per quanto riguarda Bologna, Polis Aperta ha deciso di partecipare solo con le magliette con scritto «diversamente uniformi».
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