Roberto Vivaldelli per Occhi della Guerra – il Giornale
Un social network pubblico alternativo a Faceboook, pagato dai contribuenti, che sappia contrastare le «notizie di parte provenienti dagli organi d’informazione di destra». È la proposta del ricercatore Ethan Zuckerman, membro del consiglio della Open Society Foundations, l’organizzazione internazionale con ambizioni filantropiche fondata e presieduta dal finanziere George Soros.
In un articolo pubblicato su The Atlantic, l’esponente della Open Society e direttore del Center for Civic Media, propone la creazione di un social media governativo che abbia «la missione civica di fornire una visione diversificata e globale del mondo». Per il ricercatore, gli elettori «di destra» leggono testate inaffidabili e poco autorevoli.
twitter dove le news spaccano tutto
«Insieme al collega Yochai Benkler – osserva – abbiamo teorizzato una spiegazione diversa dell’elezione di Donald Trump. Con i nostri team di Harvard e del Mit, abbiamo analizzato 1,25 milioni di notizie, tenendo conto di collegamenti ipertestuali e menzioni su Twitter e Facebook al fine di mappare l’intero “ecosistema” dei media. Abbiamo scoperto che, mentre gli elettori di sinistra e di centro si informano attraverso i media tradizionali, la fonte principale di quelli di destra sui social è Breitbart, a capo di una rete di punti vendita online, notizie di parte e teorie complottiste».
In sostanza, secondo Zuckerman e Benkler, gli elettori di Trump non erano – e non sono – in grado di comprendere quali siano le notizie autorevoli e quali no, mentre gli elettori dem, – quelli che leggono il New York Times, il Washington Post o guardano la CNN – sono più informati e preparati. «I siti come Breitbart o InfoWars– spiega Zuckerman – non pubblicano fake news nel senso di articoli scritti per guadagnare, ma sono estremamente faziosi. La loro verità, del tutto parziale, inserita in una narrazione che ha un’importante cassa di risonanza, è difficile da smascherare».
La soluzione ideale, dunque, sarebbe quella di creare una piattaforma pubblica al fine di arginare il fenomeno di questa presunta «rete social di destra», dal momento che, sempre secondo Zuckerman , «quelle private come Facebook non hanno alcun obbligo di offrirci una visione del mondo diversificata e pluralista»: «Invece di concentrare le risorse sulle segnalazioni – scrive – un social media pubblico avrebbe il pregio di premiare la diversità del materiale, arginando quello ideologico che ora riscontriamo. Le migliori emittenti pubbliche nelle democrazie più sviluppate – Canada, Regno Unito, Germania – usano la loro posizione per offrire al pubblico un ampio spettro di idee e posizioni, agevolando un dialogo più ampio.
Questo consentirebbe alla destra e alla sinistra di avere una loro rappresentanza. Essendo pubblica, potremmo poi discutere se questa piattaforma è giusta e imparziale. Potremmo capire poi se, qualora raggiungesse un pubblico abbastanza vasto, meriti i soldi delle nostre tasse. Forse finiremmo per odiarla. Ma ne abbiamo bisogno».
Oltre alla spocchia e alla presunta superiorità morale che si evince dalla posizione di Zuckerman rispetto all’elettorato e ai canali d’informazione di cui esso fruisce, il ricercatore non riporta un dato estremamente importante. In relazione a Facebook, il membro del consiglio della Open Society dimentica di dire che tra i finanziatori del nuovo sistema «anti-bufale» c’è proprio la stessa organizzazione presieduta da George Soros.
A vigilare su questa delicata operazione di controllo sarà una società esterna – il Poynter Institute – che dovrebbe garantire imparzialità e obiettività. Peccato che il più importante sponsor della nota scuola di giornalismo della Florida è proprio la Open Society Foundations di cui anche Zuckermann fa parte. Una «dimenticanza» alquanto sospetta.