Anche @daniloreapress omaggia con le sue dolci note Gianni Borgna pic.twitter.com/EkWTMd5rf4
— Auditorium PdM (@AuditoriumPdM) 22 febbraio 2019
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“Gianni Borgna è stato il primo critico della canzone italiana”. All’Auditorium Renzo Arbore ricorda l'ex assessore alla cultura a Roma scomparso 5 anni fa e rilegge la prefazione che firmò al suo libro, “Storia della canzone italiana”: “Occuparsi di Sanremo in un certo ambito politico era considerato reato”. Fu lui a “sdoganare la musica cosiddetta leggera” e a trovare una via gramsciana al nazionalpopolare attraverso le canzonette del Festival.
“Mi obbligò a cercare Gino Paoli in tutte le balere dell’Appennino”, Goffredo Bettini, il tessitore del centrosinistra capitolino ai tempi di Rutelli e Veltroni, rammenta gli sforzi per portare il cantautore genovese ad esibirsi al Pincio davanti a 15mila persone in quello che fu “il suo primo grande concerto dopo un periodo di crisi”. E poi strappa risate alla platea raccontando di quella volta che fece da autista a Borgna e a sua moglie Anna Maria. “Eravamo in tre, io li osservavo da lontano passeggiare, la gente pensava che fossi un guardone…”. Partono le note di “Una lunga storia d’amore”, omaggio non casuale di Danilo Rea a una delle canzoni preferite da “Profumetto”, come veniva appellato dai compagni di partito.
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Un ragazzo di Roma Nord che passava dalle Botteghe Oscure alle battute lucenti di Carmelo Bene: “Io mi domando se sono di fronte alla Fgci culturale o a un gruppo di operai in buona fede, ma ignoranti”. Sezioni di partito e cineclub, musica e Lazio. La riscoperta di Claudio Villa e i funerali di Re Cecconi, l’immancabile Pasolini e Ingrao che parla di Charlie Chaplin. “Gianni era pop, nel senso più completo del termine”, certifica Massimo Ghini: “Ai tempi della mia esperienza come consigliere comunale, Bettini era il preside, Borgna il maestro, come Robin Williams nell’Attimo Fuggente”.
Una felice “anomalia” nell’arcipelago dell’ortodossia rossa. “Lo incrociai quando era capogruppo del Pci al consiglio regionale – ricorda Rutelli, a quel tempo radicale – andai da lui per perorare la causa dell’istituzione del referendum a livello regionale. Pensavo: “Questi mi mandano a stende”. E invece...Dal mio punto di vista Borgna ha preso dell’esperienza comunista le componenti più nobili (la dedizione incessante, l’onestà personale, il senso del collettivo) senza gli aspetti più perniciosi (il senso di superiorità, il settarismo, il conformismo). Lui è stato tra i protagonisti della “ripartenza epocale” di Roma, sottolinea l’ex sindaco. Quando arrivammo non funzionava nulla, i computer erano staccati, i musei sempre chiusi. Ci fu un sensazionale lavoro di squadra e la città ripartì. Poi vennero l’Auditorium, i concerti di Capodanno in piazza, la Tosca allo Stadio Olimpico (“con il manifesto pubblicitario più lungo del mondo, siamo ancora nel Guinness dei primati”, ricorda Simona Marchini), i teatri in periferia, il sistema delle biblioteche civiche lodato anche dall’attuale vicesindaco e assessore alla cultura Luca Bergamo.
“Con la cultura abbiamo ricucito la città”, rivendica Walter Veltroni, che esalta la capacità di Borgna di tradurre “le idee in fatti concreti”. Era “una figura poetica”, che sapeva creare connessioni. Alto e basso, politica e cultura, Adorno e Giorgia Florio… Ma per capirlo veramente bisognava aver giocato a calcio con lui. Si toglieva gli occhiali, si sistemava nel suo ruolo di libero e tirava fuori una cattiveria sconosciuta. Era un pericolo pubblico. Quello è l’unico frammento di vita in cui l’ho visto diverso da come lo conoscevamo”. Sarà stato il nome di quella squadra: “Sdegno democratico…”
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